Grupo 7 – regia di Alberto Rodriguez sceneggiatura di Rafael Cobos, Spagna 2012
Alla sesta edizione del Festival del Cinema Spagnolo, che si sta tenendo in questi giorni al cinema Farnese di Roma, per la sezione La Nueva Ola, che apre una finestra sul cinema di qualità contemporaneo, Grupo 7è quasi una prima assoluta in Italia (a parte la proiezione al Noir Festival di Courmayer lo scorso dicembre). Il film è decisamente un piccolo capolavoro, apparentemente appartenente alla tradizione del cinema di genere poliziesco (il regista e lo sceneggiatore si sono ispirati ai film polizieschi italiani degli Anni Settanta e qualcuno dal pubblico fa notare anche qualche riferimento ai film d’azione asiatici) ma con una trama dalla quale fuoriescono i sentimenti, i dolori, le ambizioni e le debolezze dell’uomo.
Siamo a Siviglia nel 1987, e la città andalusa inizia a prepararsi per l’Expò (Esposizione Universale) che si terrà nel 1992: l’unità 7 di polizia è impegnata sul fronte del traffico di droga; la città, dal centro ai bassifondi, sembra tracciata da una fitta rete di grandi e piccoli spacciatori, dove l’unità 7 riesce ad insinuarsi, fino a strappare le maglie di quella rete usando metodi decisamente poco etici che sconfinano nell’illegalità. Appartengono all’unità Ángel (Mario Casas), il più giovane e ambizioso, inizialmente poco incline ai metodi del resto del gruppo (sarà forse perché la sua formazione di poliziotto è avvenuta già durante la democrazia, a differenza dei compagni, probabilmente formatisi ai tempi della dittatura di Franco); Rafael (Antonio Della Torre), i cui modi sbrigativi e violenti lasciano trapelare dolore e soprattutto rabbia e nei confronti di un mondo che si è portato via il fratello Pablo; Mateo (Joaquín Núñez, che per questo film ha vinto il premio Goya per Miglior Attore Rivelazione), veterano e disincantato e Miguel (José Manuel Poga). La vita e le indagini del gruppo si intrecciano con la prostituta Caoba (Estefania De Los Santos), dura e materna, che quasi ricorda certe donne sante e peccatrici al tempo stesso, della letteratura spagnola; e del tossico-dipendente e informatore Joaquìn, interpretato da Julián Villagrán, presente alla proiezione e vincitore del premio Goya per Miglior Attore Non Protagonista.
Julián Villagrán interpreta un ruolo piuttosto ricorrente nella sua filmografia, quella del tossico-dipendente e racconta di come è facile essere chiamati da registi e sceneggiatori sempre per una stessa tipologia di ruolo. Ma afferma anche che la scelta è avvenuta, come per tutti gli altri attori, dopo una selezione molto attenta da parte della direzione del casting. Il lavoro fatto con gli attori è stato molto meticoloso sin dall’inizio: oltre alla scelta dei singoli attori, precisa e puntuale, basata sulle caratteristiche dei personaggi, già ben definite dallo sceneggiatore e dal regista, molta attenzione è stata data alla composizione del gruppo, che, nonostante il poco margine di manovra di fronte alla macchina da presa, senza alcuna sbavatura porta avanti sia lo sviluppo della storia che quello dei singoli personaggi; Angel e Rafael, personaggi principali, compiono un percorso individuale che si incrocia proprio nell’ultima, emblematica scena; Angel, all’inizio giovane e pulito, si lascia trasportare dall’ambizione, fino a diventare cinico e violento; Rafael, dapprima rabbioso e oscuro, si lascia invece prendere per mano dall’amore della giovane tossico-dipendente Lucìa (Lucìa Guerrero) per ritrovare un po’ di luce. Il merito di questo lavoro di squadra è dovuto anche al fatto che si trattava di un gruppo che già aveva lavorato insieme in altre occasioni.
Lo sceneggiatore afferma che la storia non è basata su fatti reali; in realtà sembra che si sia ispirata ad un caso giudiziario nel quale fu coinvolta un’unità della polizia di Siviglia, che con metodi poco legali riusciva a mettere a segno parecchi arresti nell’ambito del traffico di droga. La finzione, o meglio, la rappresentazione del reale, viene resa dall’eccellente fotografia di Alex Catalàn (che per questo film si è aggiudicato il premio per la miglior cinematografia al Tribeca Film Festival), dal montaggio di J.Manuel e G. Moyano che combinano il piano lungo con il piano corto; l’atmosfera che si crea (che per certi aspetti ricorda quella di Gomorra di Matteo Garrone) è sempre ombrosa, oscura, angosciante e in continua tensione.
L’azione si svolge sullo sfondo di una Siviglia, che oltre ad essere palcoscenico urbano, è anche una specie di “personaggio” del film, che vive la sua evoluzione (o involuzione?), attraverso immagini di repertorio dell’epoca, dal degrado della fine degli anni Ottanta all’apertura dell’Expò, annunciata solennemente da Re Juan Carlos, in una città la cui facciata futurista è servita soltanto a coprire i quartieri più degradati. E a proposito di Siviglia, Iris Martin Peralta, moderatrice dell’incontro con Julián Villagrán, ricorda che dei cinque film in programmazione per la sezione La Nueva Ola, tre sono di Siviglia.
Grupo 7, sebbene ambientato a Siviglia, a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, e focalizzato sul problema della droga, riesce a raccontare anche temi della società che restano ancora attuali: l’utilizzo di metodi poco etici, per il raggiungimento di scopi che fanno comodo e danno lustro a chi comanda, che però non si sporca le mani ed è pronto a tirarsi indietro, qualora la situazione degeneri (resta piuttosto ambiguo il personaggio del dirigente, capo dell’unità); il ruolo del giornalismo investigativo, incarnato dal personaggio (marginale nel film) di Marisa Morales (interpretata da Diana Làzaro), che pare sia ispirato alla giornalista Rosa Marìa Lopez che denunciò gli abusi del gruppo di poliziotti dell’unità di Siviglia, subendo poi minacce di ritorsione anche a danno dei suoi familiari.
Si esce dalla sala interrogandosi sul confine tra realtà e finzione, e soprattutto su come siamo arrivati oggi a legittimare il fatto che il fine giustifica i mezzi. Sempre.
Anna Quaranta