Prendiamo due sceneggiatrici, un editor, una “cinematografica”, un’esperta di internet fiction (murakianamente non stiamo a precisare chi è chi). Aggiungiamo i pasticcini, il croccante alle mandorle e le noccioline pralinate. Ecco pronto il primo gruppo di lettura di Cronache Letterarie.
Tiziana: La prima domanda è: di che cosa parla?
Giovanna: Be’ quello ce lo ricordiamo, dai!
Tiziana: Nel senso che ci sono dentro talmente tante storie che è persino difficile raccontare di cosa parla. Ad esempio, che c’entra la storia della montagna, lo svenimento dei bambini etc. con il resto della storia?
Cristina: La montagna è il posto dove Oshima porta Kafka.
Tiziana: Voglio dire che c’è un mistero, ma resta un mistero.
Cristina: Resta un mistero com’è un mistero l’isola di Lost…
Roberta: Perché la montagna è un luogo incantato.
Cristina: Un luogo dove accadono cose strane.
Giovanna: Io ho una teoria a cui ho pensato venendo qua. Il libro l’ho letto più o meno un mese fa. Prima avevo deciso di non leggere più Haruki Murakami perché avevo letto, non mi ricordo quale suo libro, che mi aveva lasciato perplessa.
Cristina: Ora però ci devi dire quale.
Giovanna: Quello del Dolphin Hotel.
Roberta: Dance Dance Dance.
Giovanna: Invece questo mi è piaciuto tanto e mentre lo leggevo mi venivano molte idee. Ora ho cercato di trovare una situazione unificante. Quando l’ho letto io ero molto felice, quando l’ho finito un po’ meno, nel senso che era come se avessi fatto una passeggiata simile a quella nella foresta e mi fossi aspettata di trovare chissà che: la spiegazione della vita. Poi questa spiegazione della vita lì dentro non l’ho trovata perché non c’è.
Monica: Io sono arrivata a cinquanta pagine dalla fine, poi ho aspettato mezza giornata perché non lo volevo finire, proprio per lo stesso motivo.
Giovanna: Durante la lettura, grande felicità, dopo la lettura un po’ di delusione e adesso che torno a pensarci, a un mese di distanza, mi sono data una risposta. La qualità di questo libro è che ti fa apparire una realtà pluridimensionale, che è qualcosa che in fondo tutti desideriamo. Quando lo leggi cominci a entrare in un universo che è estremamente più complesso di come ci si presenta l’universo in cui viviamo. All’inizio io ero veramente felice per tutta questa ricchezza di storie e altro perché secondo me una delle cose che rende più infelici è il fatto che la realtà sia una cosa piatta e univoca. Ma quando ne percepisci la multidimensionalità, a quel punto ti sei arricchito tantissimo. Infatti l’immagine più forte del libro, da una parte è la biblioteca che dà un grande senso di calma e uno sguardo sulle cose, e dall’altra la foresta che è multidimensionale e totale: estremamente lussureggiante e con una “germinatività” lontana da quella del vegetale normale. E’ una cosa veramente complessa, dove ci si può perdere.
Tiziana: Ma questa è proprio la foresta delle favole. La foresta è il labirinto. C’è “il guardiano della soglia” che mette in guardia Tamura Kafka sul pericolo di entrarci, ma lui non si può rifiutare e deve affrontare quella prova. Il problema del labirinto è importante e a me la foresta sembrava super minacciosa: ogni volta che lui ci entrava avevo paura…
Giovanna: Continuo a pensare che questa sia una specie di metafora del rapporto con la realtà: la realtà può essere minacciosa, spaventosa, pluridi-mensionale e soprattutto lui riesce a fare un’operazione inte- ressantissima: la dissoluzione del tempo e la dissoluzione dell’identità. Ci sono tantissimi piani temporali. Riesce a creare una compresenza dei tempi e anche delle identità.
Cristina: Secondo me lui usa la foresta, più che come metafora della realtà, come metafora e immagine dell’inconscio. La foresta è l’inconscio e il viaggio del giovane Kafka è un viaggio nei suoi fantasmi inconsci. Tant’è che sul complesso di Edipo si è fondata una disciplina. E poi il tema della realtà parallela non è la prima volta che Murakami lo sviluppa perché c’è in Dance dance dance e in 1Q84, dove la protagonista scende da una scaletta della strada sopraelevata vattelappesca di Tokyo ed entra in un altro tempo.
Tiziana: E anche ne La ragazza dello Sputnik a un certo punto si entra in un’altra realtà – strana, oscura, misteriosa – e ti sembra di non capire più niente.
Cristina: Ma dov’è che uno è giovane e vecchio contemporaneamente, sta da una parte e dall’altra contemporaneamente? Nel sogno. Il fatto che lui ce lo ponga come un racconto realistico…
Tiziana: Questa è la chiave secondo me. Nei sogni puoi stare in due posti contemporaneamente, nei sogni sei responsabile delle tue colpe immaginarie perché vivi i tuoi sensi di colpa, edipici, o meno. Ma la metafora di Murakami è: questo non succede solo nei sogni, succede anche nella vita perché la vita stessa è una metafora, perché il mondo è una metafora. E il complesso di Edipo non lo lasci nei sogni, ma te lo porti dietro e ti senti oppresso come se tuo padre lo avessi ucciso davvero.
Giovanna: Mentre parlavate mi venivano in mente i disegni dei tanka tibetani con i mostri. Invece di dare un’interpretazione come la diamo noi, razionale e irrazionale, conscio inconscio, siamo in un universo in cui tutto esiste e lui sembra riportare il racconto a questa specie di “strip” continua in cui tutte le cose hanno cittadinanza. Così come hanno cittadinanza le immagini di Budda con vicino le immagini dei vari demoni.
Tiziana: Lui lo dichiara esplicitamente quando dice che prima che Jung e Freud esplorassero l’inconscio, questo era unito al soprannaturale e formavano qualcosa di inscindibile. Secondo me Murakami ha cercato di ricreare quel magma e ci ha ambientato questa storia.
Giovanna: C’è tutto un settore di pensiero che slitta verso la mistica e l’Oriente perché dà quella complessità che il pensiero occidentale non riesce più a dare. Lui, come la mistica, ti dice: quello che tu potrai attingere non è il mistero di Dio, ma il senso del mistero di Dio. Mi sembra che faccia lo stesso discorso sul reale: tu non lo potrai tenere tutto in mano, ma ne potrai sentire le risonanze. E io ti porto a sentire queste risonanze. Io non ho capito esattamente tutto quello che è successo. Nessuno di noi penso che l’abbia capito.
Roberta: La cosa che ho trovato molto attinente alla filosofia orientale è il rapporto con la morte. Assolutamente sereno. Uno a un certo punto è stanco di vivere, ha deciso che tutto quello che poteva fare è fatto e semplicemente chiude gli occhi e si addormenta. Gli altri sono, sì, dispiaciuti, ma riconoscono che in quel momento era giusto così. E questa la trovo una cosa meravigliosa.
Giovanna: Offre all’Occidente la possibilità di riposarsi sul pensiero orientale.
Tiziana: Però il rapporto con la morte, non mi è sembrato poi così sereno. Pensiamo ad esempio alla signora Saeki che non vuole più vivere. Al contrario di Nakata, lei è schiacciata dal suo passato.
Cristina: Lei ha passato più di metà della sua vita senza voler più vivere.
Tiziana: Appunto. Ha avuto un pezzo di vita felice e ha pensato che il resto della sua vita non sarebbe più stato all’altezza. Quindi ha vissuto nel rimpianto della vita precedente, in uno stato di depressione. Lei è una depressa che rinuncia a vivere come se non avesse abbastanza forza. “Ha una malattia dell’anima”.
Sgranocchiamenti vari del croccante alle mandorle, delle noccioline pralinate, etc.
CONTINUA…