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Guano Padano: Guano Padano

Creato il 22 dicembre 2009 da Fabriziofb
Guano Padano: Guano Padano
Il nord est come il far west, con il Po per Mississippi, i veneti per rednecks, i secessionisti della lega come confederati rincoglioniti? Pare proprio di sì, e, andando avanti di questo passo, anche i più scettici dovranno deporre le armi (della dialettica, s’intende), e arrendersi all'evidenza. Lo avevano già gridato a gran voce Matteo Righetto e Matteo Strukul, ideatori del movimento Sugar Pulp (http//www.sugarpulp.it), nato un anno fa intorno a un manifesto sottoscrivibile su facebook ed effettivamente sottoscritto, in tempi brevissimi, da diverse centinaia di fan; ora, a ribadire il concetto sono i Guano Padano (http://www.myspace.com/guanopadano), trio composto da Alessandro "Asso" Stefana (chitarra), Danilo Gallo (contrabbasso, vibrafono, piano, organo) e Zeno De Rossi (Batteria e percussioni). Sì, perché i tre sembrano avere in mente lo stesso tipo di sintesi o sovrapposizione: gli ampi spazi del nord est Italiano e quelli indimenticabili del grande western cinematografico; l'anima selvaggia, violenta, istintiva degli "uomini della pianura", al centro della composizione e dell'improvvisazione musicale, come in un romanzo d'erranza, pieno di variazioni, giri, "colpi di testa", impulsi randagi. E ad accompagnare Stefana, Gallo e De Rossi -recentemente sbarcati in tutti i negozi di dischi con il self-titled Guano Padano (album di produzione americana, targato "Important Records" e già osannato da Joey Burns dei Calexico)-, nelle loro scorribande, sono intervenuti numerosi musicisti di meritata fama, da Chris Speed, già clarinettista per Zorn, a Alessandro Alessandroni, “fischiatore” per quel Morricone la cui influenza si fa sentire in ogni singola traccia, determinando il gusto “cinematografico” dell’album, passando per il chitarrista Gary Lucas, ormai quasi un'icona dell'avanguardia newyorchese. Il tutto per tacere di Bobby Solo, che dà il meglio di se’ nella cover (in salsa latinoamericana) del classico di Hank Williams Ramblin’ Man. Il risultato? Un evocativo, riverberante, country-surf-jazz mutante (1) con contaminazioni latin e elettroniche, twangy, positivamente confuso; un riuscito pastiche che si tinge qua e là di free-jazz punk di zorniana memoria (à la Naked City, per capirci), mantenendo, per il resto, arrangiamenti magistrali a dispetto dell’ampiezza dei riferimenti intertestuali.
Da segnalare, oltre alla splendida Ramblin' Man, l'incredibile Danny Boy, quasi irriconoscibile in virtù di un mostruoso processo di decostruzione e ricostruzione, e le seducenti A country Concept e Bull Buster.
(1) "Programmaticamente mutante", si direbbe a giudicare dall'immagine di copertina che sembra raffigurare la poetica della band, evocando, nella sovrapposizione avvoltoio-scheletro la cannibalizzazione artistica (tendenza alla citazione), e l'ibridazione di generi apparentemente incompatibili (sembra di trovarsi di fronte a un inedito incrocio tra condor e bipede non meglio identificato).

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