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Coloro che praticano il Vajrayana, gli insegnamenti tantrici segreti, hanno un impegno sacro nel non rifiutare le emozioni di attaccamento, rabbia, ignoranza, orgoglio e gelosia. La ragione è che se si rinuncia ad esse, non si sarà mai in grado di scoprire la saggezza che è loro intrinseca. Nell’abbandonare i cinque veleni, abbandoniamo contemporaneamente qualsiasi possibilità di realizzare le cinque saggezze, dato che esse non saranno mai trovate se non nelle emozioni. Ecco perché quando siamo impegnati nella pratica tantrica dobbiamo lavorare con i diversi oggetti che provocano l’insorgere di reazioni emotive in modo da poterne sperimentare la saggezza corrispondente. Proprio gli oggetti fonte di attaccamento, avversione e ignoranza diventano quindi i mezzi per la liberazione dal conflitto emotivo. In pratica questo significa che quando uno dei cinque veleni appare nella mente, dobbiamo guardare direttamente alla sua essenza fino a quando comprendiamo che, di fatto, esso non ha alcuna esistenza reale. Che cos’è un’emozione? È importante essere chiari su cosa intendiamo con la parola emozione. Usiamo questa parola quotidianamente per descrivere qualcosa che può essere prontamente identificato, un sentimento definito nella mente che può essere inteso sia come una reazione sia come una forza motrice. Tuttavia nel buddhismo, l’emozione è molto più di questo. È uno stato mentale che inizia nell’istante nel quale la mente funziona in modo dualistico, molto prima che una persona ordinaria ne sia consapevole. L’emozione è l’abituale tendenza ad aggrapparsi a ciò che avviene nella nostra mente, tendenza che ci fa automaticamente categorizzare le nostre esperienze a seconda che il nostro ego le trovi attraenti (desiderio), non attraenti (rabbia) o neutre (ignoranza). Maggiore è questa tendenza ad aggrapparsi, più forte sarà la nostra reazione, e il processo continua fino al punto nel quale esso irrompe nella nostra coscienza mentale manifestandosi come quei sentimenti a noi tutti noti che normalmente chiamiamo emozioni. Le reazioni sopra menzionate (desiderio, rabbia, ignoranza) sono tradizionalmente indicate come i ‘tre veleni’, a cui si sommano altre due reazioni ‘emotive’ primarie quali il considerare la propria esperienza individuale come predominante (orgoglio) e giudicare la propria condizione in relazione con l’oggetto percepito (gelosia). In questo modo si parla di cinque veleni principali. La parola veleno è usata perché queste reazioni contaminano la nostra mente e ostacolano il manifestarsi della sua innata saggezza. Percezione, emozione e saggezza Le emozioni appaiono a causa delle condizioni create dalla nostra mente ‘velata’. La nostra coscienza fondamentale, che è attualmente in una condizione di ignoranza, proietta da sé l’idea di un mondo sperimentato attraverso i cinque sensi, i cinque organi sensoriali e la loro interazione con i corrispettivi oggetti esterni. A causa delle nostre precedenti abitudini, la mente proietta immagini che poi considera separate da sé stessa. Queste quindi diventano forme che vengono percepite come oggetti visibili, suoni che divengono oggetti della nostra capacità uditiva, ecc. La presenza di questi oggetti apparentemente indipendenti perturba la mente, e questo a sua volta determina il sorgere delle emozioni. Per esempio, quando i nostri occhi vedono una forma, il processo non si limita a questo, ma immediatamente una nostra reazione appare. Quando troviamo tale forma piacevole, ne veniamo attratti. Se la troviamo spiacevole o repellente, la rifiutiamo e vogliamo allontanarcene. Lo stesso succede nel caso di tutte le altre nostre informazioni sensoriali, sia nel caso che sentiamo, annusiamo, gustiamo o tocchiamo qualche cosa. Ogni volta che gli organi sensoriali sono in funzione dovremmo guardare direttamente alla vera essenza di ciò che sta accadendo. Gradualmente arriveremo a vedere che l’oggetto che stiamo percependo è in realtà solo la mente in azione. Non essendone distinto o separato, l’oggetto è la mente stessa, e non c’è quindi alcuna necessità di creare una dualità artificiale mantenendo una netta distinzione tra soggetto e oggetto. Se guardiamo all’essenza di questa non dualità — la vera natura sia dell’oggetto che della mente che lo percepisce — scopriremo l’essenza della mente stessa. La percezione dell’essenza della mente accade quando tutti i pensieri precedenti sono giunti ad una fine e il pensiero successivo non è ancora apparso. La mente dimora spontaneamente nel momento presente, la sua stessa realtà. È la mente che vede la propria natura, e questo è ciò che chiamiamo saggezza primordiale. La presenza della saggezza primordiale nella mente è in grado di dissolvere automaticamente le emozioni. È esattamente come accendere una candela in una stanza buia: non appena la luce è presente l’oscurità svanisce automaticamente. In modo simile, il semplice fatto che la saggezza sia presente nella mente è in grado di bandire totalmente tutte le emozioni. Se riusciamo a meditare in questo modo, nello stesso momento in cui rileviamo una delle emozioni nella nostra mente, ne vedremo istantaneamente la sua saggezza e così ci libereremo dal suo aspetto emotivo. Questo è ciò che si conosce sotto il nome di “simultaneo apparire e liberarsi dalle emozioni”. In esso ognuno dei cinque veleni è riconosciuto come una delle cinque corrispettive saggezze. Se al contrario non riusciremo a vedere l’aspetto di saggezza dell’evento che sta manifestandosi nella mente, saremo ancora una volta coinvolti dalla dualità. Seguiremo il pensiero, ne saremo influenzati e inizieremo a reagire all’oggetto, o accettandolo o rifiutandolo, fino a che la mente non sarà invasa dalla confusione e dall’emozione, e alla fine di tale processo sperimenteremo la sofferenza derivante. Nel testo si dice che se rinunciamo ai cinque veleni, di fatto, sarà per noi impossibile trovare alcuna saggezza. L’attività delle emozioni è l’attività della mente. Ogni emozione che appare non è altro che la mente stessa in azione, quindi se respingiamo le emozioni stiamo contemporaneamente respingendo la mente. Quindi è solo attraverso l’attività della mente che possiamo scoprire l’attività della saggezza, e se ne rifiutiamo l’attività emotiva non accederemo contemporaneamente alla possibilità di incontrare la sua attività di saggezza. Questo non ci porterà mai alla realizzazione della realtà ultima della mente. L’ignoranza come emozione È difficile per noi pensare all’ignoranza come a una emozione, ma se ci pensiamo bene, possiamo esserne influenzati proprio come dal desiderio o dalla rabbia. L’ignoranza non è un qualcosa di neutro senza effetti o conseguenze, è una condizione mentale definita che ci porta ad agire in un determinato modo. L’ignoranza è lo stato mentale che indica la nostra incapacità di vedere le cose come veramente sono. Questo stato mentale può essere conscio o inconscio, e può includere l’inabilità di riconoscere che cosa sta succedendo — ciò che a volte è lodato come innocenza — un chiaro sentimento di indifferenza e persino il deliberato non voler sapere. Può variare da un generale senso di confusione rispetto a ciò cosa sta accadendo in realtà, fino al prendere forma come visioni errate ben definite. Nell’ignoranza esiste anche una componente di attaccamento e può anche essere associata a una sensazione confortevole (“la beata ignoranza”). Se guardiamo attentamente noi stessi troveremo questi aspetti in molti dei nostri comportamenti. Tuttavia dal punto di vista buddhista l’ignoranza è tutto tranne che gioia e innocenza. È davvero la causa principale della nostra sofferenza ed è per questo inclusa a pieno titolo nei cinque veleni. Un avvertimento L’abbandonare le cinque emozioni di disturbo comporta l’intraprendere un cammino meno diretto verso l’illuminazione. È la via seguita dagli sravakas (i praticanti della tradizione Theravada n.d.T). D’altro canto cercare di vedere dentro la vera natura delle emozioni, osservando come e quando accadono, non è un compito facile. Se semplicemente ci limitiamo a guardare le emozioni susseguirsi una dopo l’altra, nel loro modo abituale, non saremo poi così diversi da prima. Non cambierà nulla. Se di fatto gioiamo delle nostre emozioni e ne aumentiamo deliberatamente la forza fino a quando ne saremo completamente intossicati, ci comporteremo semplicemente come qualcuno che è posseduto dalle proprie emozioni, con il risultato di accumulare il karma di uno stato mentale dominato dalla paranoia e dalla confusione. Un altro pericolo in cui possiamo incorrere è quello di diventare sempre più orgogliosi della propria abilità nel maneggiare le emozioni e nell’osservarne la vera natura. In questi casi nonostante la nostra conoscenza della mente non sia pienamente sviluppata, si cercherà deliberatamente di aumentare la forza delle emozioni, in quanto più forti queste diventano, più grande sarà l’orgoglio coinvolto. E il rischio non si limita a questo. In alcuni casi nonostante la persona non sia veramente libera dalla confusione emotiva, affermerà di esserlo erigendosi ad esempio su come sperimentare le emozioni senza esserne travolto. Motivata da un tale e grande orgoglio, questa persona cercherà costantemente di accrescere la propria reputazione, di essere riconosciuta come qualcuno di molto importante, qualcuno famoso per la propria abilità a lavorare con le emozioni. Sempre più fuori controllo, e in ultima analisi ancora più confusa, questa persona accumulerà un karma sempre più negativo. Un buddha per ogni emozione Se riusciamo a guardare direttamente alla natura di ognuno dei cinque veleni nel momento esatto in cui appaiono, riconosceremo che essi non sono altro che le cinque saggezze. Nel veleno della rabbia e dell’odio percepiremo la saggezza simile allo specchio, che corrisponde al buddha Dorje Sempa. Guardando direttamente la vera natura dell’orgoglio troveremo la saggezza dell’uguaglianza e il buddha Ratnasambhava. Nella natura del desiderio scopriremo la saggezza discriminante e il buddha Amitabha. Se guardiamo la gelosia vedremo la saggezza che porta ogni cosa alla perfezione e il buddha Amoghasiddhi. E quando guardiamo l’ignoranza troveremo la saggezza del dharmadhatu, la realtà stessa, e il buddha Vairochana. Questi buddha corrispondono ai diversi costituenti energetici del corpo, ognuna dei quali è in relazione con la corrispettiva emozione. Guardar dentro l’emozione produce non solo la realizzazione di un aspetto di saggezza, ma trasforma anche il corrispondente elemento del corpo in uno dei cinque buddha. In questo approccio non cerchiamo quindi di rifiutare le cinque emozioni, ma al contrario lo scopo è quello di guardare direttamente alla loro essenza o natura. In questo modo esse saranno automaticamente trasformate nelle cinque saggezze e saremo in grado di generare spontaneamente le menti dei cinque buddha essenziali. Questo tipo di pratica è impiegata da coloro che meditano secondo la tradizione della Mahamudra e dello Dzog Chen. Una medicina per tutte le malattie Guardare direttamente l’essenza o la natura di una emozione è un metodo che può essere applicato in ogni circostanza, proprio come quando si è in grado di usare una singola medicina per curare centinaia di malattie. Il praticante di grandi capacità userà questo metodo per abbattere le emozioni non appena una di esse appaia nella mente. È come porre una piccola scintilla in un mucchio di fieno secco: immediatamente prenderà fuoco e sarà completamente distrutto. Nonostante la scintilla iniziale sia minutissima, essa è in grado di bruciare qualsiasi quantità di fieno. Allo steso modo, solo una piccolissima scintilla di saggezza può completamente bruciare via la confusione della mente e le emozioni a essa associate, fino a che l’unica cosa rimasta sarà la verità ultima della mente. Coloro dotati di capacità medie useranno il metodo seguente. Non appena in meditazione scoprono la presenza di un’emozione nella mente, la guarderanno direttamente con uno sguardo nudo e penetrante. L’emozione si calmerà e mollerà la presa sull’individuo. Questo processo è paragonato al riconoscere la non-dualità delle onde e dell’acqua. Innumerevoli onde, che assumono una varietà continua di forme e configurazioni differenti in movimento, possono essere viste sulla superficie dell’oceano, eppure il contenuto delle onde è semplicemente la stessa acqua dell’oceano. Non può essere fatta alcuna vera distinzione tra le onde e l’acqua. Ugualmente le molte e varie forme emotive che appaiono nella mente non sono altro che la mente stessa. Non c’è quindi alcuna ragione per rifiutare l’emozione o per considerarla diversa dalla mente stessa. Il praticante di media capacità sarà in grado di comprendere questo, e attraverso l’esperienza diretta del fatto che le emozioni sono semplicemente la mente stessa, queste si calmeranno da sole. Il praticante dotato di capacità ordinarie riuscirà attraverso questa pratica a essere consapevole dell’emozione nel momento in cui apparirà nella mente. Non si lascerà coinvolgere e trascinare dall’emozione come normalmente accade. Si avrà una condizione simile a quando qualcuno ritorna ad essere consapevole e lucido dopo un momento di momentanea follia; libero dalla pazzia, la sua coscienza ordinaria riemerge. Allo stesso modo, non appena una tal persona realizza la presenza di un’emozione, applicherà la pratica che riterrà appropriata alla circostanza presente. Essere consapevoli dell’emozione, anche se la nostra consapevolezza non è sufficientemente chiara da liberarla totalmente, ci fornisce il punto di partenza per mettere in pratica altri approcci che diventeranno così più accessibili. [Estratto dal libro "Change of Expression. Working with the emotions", di Lama Gendun Rinpoche pubblicato dalle Ed. Dzambala.] Fonte: www.buddhism.it
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