Gubbio, città che giace nel cuore della verde Umbria, ha una storia millenaria. Occupa una posizione dominante proprio là, dove si stabilirono i primi insediamenti umani che risalgono a circa cento mila anni prima dell’era cristiana.
Passeggiare per i suoi vicoli, le piazze ed i palazzi è come tornare al passato.
La fortuna di scoprirla con l’aiuto di un vero eugubino, poi, è stata un’esperienza travolgente.
Seguendo il motto di Giuliano ‘sempre all’attacco’ ci siamo fatti condurre alla scoperta delle botteghe artigiane come quella del ferro battuto, affascinante mestiere in via d’estinzione. I fabbri coniugano forme e decori che si ispirano al passato a tentativi d’innovazione nell’intento di dare leggerezza ed eleganza ai lavori.

Altre attività artigianali si distinguono per tipicità ma il tempo era per noi tiranno ed abbiamo dovuto rinunciare ad approfondirle. L’arte del legno, viva ed esercitata da falegnami, intagliatori, doratori e restauratori.
La lavorazione della ceramica, la cui documentazione risale alla prima metà del Trecento, si distingue particolarmente per il bucchero, un tipo di ceramica nera e lucida ottenuta da un’argilla molto raffinata e ricca di ossido di ferro.
Infine, gli artigiani della pelle che, fin dal Medioevo, producono creazioni apprezzate per l’elevata qualità.
Visitare un luogo con qualcuno del posto dà l’enorme vantaggio di accedere a luoghi impensabili per un normale turista.
Grazie al nostro accompagnatore sono venuta a conoscenza di una tradizione che ignoravo, la festa dei ceri.
Il cero è un’enorme e pesantissima macchina di legno formata da due prismi ottagonali appuntiti alle estremità sovrapposti ed attraversati da un’asse. Il tutto, appoggiato su una barella, viene trasportato di corsa dai ceraioli su per i ripidi pendii del Monte Ingino.
In cima ad ogni cero è posta una statuetta: S. Ubaldo per i muratori, S. Giorgio per artigiani e commercianti e S. Antonio Abate per i contadini.
Eleganti disegni decorano questi giganteschi marchingegni e quest’anno, per la prima volta dagli anni ’80, sono in fase di restauro in vista della cerimonia che si svolge il 15 maggio. Le sue origini non sono certe ma la tradizione fa parte di un patrimonio che si perde nei secoli e che, ancora oggi, è orgogliosamente vissuta dagli eugubini. Rito talmente importante da essere scelto come simbolo della Regione Umbria.

Anche quella del campanaro è un’attività quasi estinta, ormai si utilizzano inanimati dischi per riprodurre il suono. A Gubbio, invece, c’è una tradizione antica che viene mantenuta viva grazie alla Compagnia dei Campanari. Entrare nella sala dove si riuniscono ha un qualcosa di carbonaro ed affascinante con le scritte sui muri che testimoniano il passaggio di tanti affezionati all’usanza.
Un rapporto quasi umano, quello del campanaro con la sua campana. La treccia, che tiene il campanone al ceppo, è chiamata capelli e poi ci sono labbra, bocca e gola.
I maestri del silenzio, così sono chiamati i campanari, sono gli unici a rompere l’atmosfera silente e tranquilla di Gubbio perché quello che producono attraverso le campane non è rumore ma musica.
Un popolo insolito quello eugubino tanto da essersi meritato l’appellativo di ‘matto’ e solo qui si può conseguire l’omonima patente, di cui vado molto orgogliosa.
La fontana dei matti è una tra le fontane più conosciute d’Italia e risale al ’500. Prende il nome dall’antica tradizione secondo cui il visitatore che compie tre giri intorno alla vasca e, di seguito, viene battezzato con l’acqua che contiene da una persona del luogo acquista la cittadinanza eugubina a tutti gli effetti,

E come bambini in gita scolastica, noi di Umbria on the blog ci siamo goduti Gubbio, per le sue vie, i tetti con le tegole vecchie, la sua gente ed il suo cibo. Menzione speciale merita l’enoteca ‘Le delizie di Bacco’ dove abbiamo bevuto un bicchiere di vino accompagnato da deliziose bruschette con baccalà e pangrattato aromatico tostato.
Gubbio vanta anche una dimora storica trasformata in Hotel di charme….ma questa è un’altra storia.
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