Al centro la nostra politica estera degli ultimi anni (e governi) che ha visto grossi stanziamenti di soldi e superamenti di sbarramenti storici e culturali nel nome del futuro comune, a che ha dato indiscutibili favorevoli risultati economico-politici.
E adesso come al solito ci troviamo a dover digerire un grosso boccone controvoglia, che rischia pure di andare di traverso!
Leggendo l'intervento di Vittorio Sgarbi sul Giornale ho trovato nelle sue parole quanto volevo scrivere, e pertanto lo pubblico volentieri e rimando al link originale dell'autore dell'opera e della testata giornalistica:
http://www.ilgiornale.it/esteri/il_commento_io_dico_che_questo__e_conflitto_sbagliato/20-03-2011/articolo-id=512658-page=0-comments=1
Illustre Presidente ritengo mio dovere scrivere oggi, per futura memoria, il mio pensiero sulla vicenda libica. Non c’è nessuna buona ragione per aderire alla posizione dei volenterosi accettando la risoluzione Onu e seguendo la Nato e gli americani. Obama è ancora una volta, come Bush e Clinton, pronto a un’azione militare. In molti Stati della civile America c’è ancora la pena di morte. L’illuminismo si è fermato. Ciò che era chiaro a Cesare Beccaria e ad Alessandro Manzoni non è stato completamente compreso dalla democrazia americana. Lo Stato che uccide non risarcisce il torto subito. Impone la sua forza con lo stesso arbitrio del criminale.
Nessuno può disporre della vita di un altro. Perché dovendo distinguere gli italiani dagli americani, risalgo a posizioni così lontane? Perché è evidente che la retorica con cui si fa riferimento alle inermi e indifese popolazioni civili sotto l’attacco militare di Gheddafi esclude che lo stesso comportamento, con analoghi rischi, possa essere assunto con la nobile motivazione di difendere il popolo libico. Non parlo per questioni di principio. Mi riferisco alle tante azioni, in particolare in Irak, che hanno reso odiosi gli americani perché le loro bombe contro il dittatore hanno, non raramente, colpito civili. Il delirio guerrafondaio di Sarkozy oggi, e il rigore di Obama minacciano identici rischi. Si può bombardare senza uccidere, anche con le migliori intenzioni. Bombardare anche senza milizie di terra, cui almeno si risparmia la vita (quanti italiani sono morti nelle missioni di pace?) vuol dire essere inguerra.
E non c’è nessuna buona ragione di concedere ad americani e francesi le nostre basi di Gioia del Colle, Trapani, Sigonella. Malta che, con noi è il Paese più vicino e più a rischio, non consentirà l’uso delle basi.Perché l’Italia sì?Sarà opportuno ricordare che già la Libia ha sopportato un lunghissimo embargo e già si era imposta dall’Onu una no fly zone . Ecco perché scrivo ora. Quell’embargo,quella no fly zone io li violai nel 1998 con una impresa temeraria che ful’iniziodello scongelamento dei rapporti fra l’Italia e la Libia prima con Prodi e Dini, poi con D’Alema, poi con Berlusconi e ancora con Prodi e con Berlusconi. Tutto il mondo ha assistito a questa evoluzione che ha interessato anche Francia, Inghilterra e persino l’America. Gheddafi, sempre lo stesso, era diventato buono? No.
Si era preso atto di una situazione consolidata e della necessità di trovare un alleato sicuro contro gli sbarchi di clandestini che interessano prevalentemente se non esclusivamente l’Italia, non l’America. Anche in questo diverso. Perché allora oggi scoprire che Gheddafi non è un leader democratico? Non lo è mai stato. Come non è una insurrezione di popolo, per un risorgimento (come si illude non so quanto credendoci Napolitano), la rivolta delle città libiche contro Gheddafi. Si tratta come sanno gli osservatori più informati di una guerra fra tribù in un complicatissimo sistema che muove interessi del tutto estranei a quelli del popolo. Se Gheddafi cade non sarà una democrazia a determinare il nuovo potere ma un intreccio di alleanze di famiglie che prenderanno il potere contro il popolo stabilendo un altro regime.
Voglio ricordare che quando andai la prima volta inLibia prima di violare l’embargo con un lunghissimo ed estenuante viaggio, prima ancora di mostrare a me e alla mia delegazione i sublimi siti archeologici di Leptis Magna, di Sabratha, di Cirene, Gheddafi ci indirizzò come a un santuario al «museo» cui più teneva: la sua casa bombardata dagli americani, mi pare nel 1987, per tentare di cacciarlo come vogliono fare ora. Non ci riuscirono, come si è visto. Ma in quella casa morì, con altri libici, anche la figlia di Gheddafi. La morte di un soldato in guerra è tragica, ma è nelle cose; la morte di un cittadino inerme o di un bambino, non è accettabile. Bombardare equivale a un atto di terrorismo: è colpire alla cieca, colpire chi non si può difendere e colpire chi è innocente. Far pagare ai cittadini, come con le limitazioni derivate dagli embarghi, le colpe del dittatore.
Se tale era, come fu a partire dal suo colpo di Stato, e come è, non bisognava in nessun momento scendere a patti con lui.L’abbiamo ricevuto,onorato. È stato visitato e ossequiato, da D’Alema come da Berlusconi.Oggi noi, che siamo i più esposti, non ci possiamo permettere di voltargli le spalle riconoscendolo improvvisamente come criminale di guerra, quale era già stato, per esempio, con il caso Lockerbie. Dopo Gheddafi non c’è la democrazia, c’è la deriva come in Somalia. Ci saranno altri colonnelli. E le nostre coste sempre più indifese. Ma soprattutto, concedendo le basi, saremmo complici di tutte le morti inevitabilmente causate dai bombardamenti. Per difendere i libici da Gheddafi, diventeremmo come lui.
Potrà così avvenire che lui si salvi e che noi uccidiamo innocenti, esattamente quello che si attribuisce alla sua azione militare in casa. Per eliminare Gheddafi, usando le stesse armi (di aria, certo, non di terra!) diventeremo come Gheddafi. L’unica strada resta dichiarare come la Germania e Malta la non belligeranza e lasciare a francesi e americani la decisione di un altro scellerato attacco in nome della democrazia e della libertà (la loro, non quella del popolo libico).
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