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Guerra fresca (l’estate del nostro rancore)

Da Lidiazitara @LidiaZitara

“Gli italiani[1] non amano gli alberi” è il titolo di un articolo di Severgnini sull’arboreità (scusate, ma scrivere “sul verde” mi avrebbe prodotto un attacco di gastrite). È di qualche anno fa e non ricordo su quale testata comparve, ma penso che sia ancora facilmente reperibile sulla rete. È sicuramente vero che gli italiani[2] non amano gli alberi, e ne potrei fornire diretta testimonianza, ma quello che è più che certo è che ne amano moltissimo l’ombra.

Specie quando è estate.
Specie quando devono parcheggiare.

Dopo aver tutto l’anno, ripeto, tutto l’anno, attuato strategie più o meno diplomatiche, che passano dal biglietto da visita di un giardiniere ad un’offerta di aiuto nel trovare una persona “in gamba, che vi farà un bel lavoretto senza spenderci troppo”, a minacce, a reprimende e piazzate napoletane, il vicino, in estate trova finalmente una olimpica pace al suo odio per i rami che sporgono.

Perché sotto può piazzarci la macchina.

Avendo una delle poche case -anzi, ora che ci penso, la sola casa- che faccia un po’ d’ombra sull’asfalto anche in estate, tutti i vicini si fiondano a parcheggiarci sotto, occupando tutto il perimetro utile. Ognuno ha un suo stile: c’è chi lo fa con la grazia di una ballerina, occupando più spazio del giusto, e uscendo dall’auto come una modella. C’è chi lo fa in maniera arrogante, piazzando la propria auto esattamente il cancello di casa nostra, costringendoci a fare chilometri per portare le buste della spesa e le bottiglie d’acqua. C’è chi lo fa da “imbucato”: trova mezzo spazio libero e ci si infila di prua, con una ruota sul marciapiede, lasciando la prora dell’auto in mezzo alla strada. C’è ancora chi lo fa al risparmio, riuscendo ad infilare la macchina in spazi angusti, al millimetro, accanto ad altre macchine, laddove sarebbe sembrato impensabile. Ovviamente questo provocherà qualche disagio alla macchina precedente e a quella successiva, che probabilmente non riusciranno a disincastrarsi, ma ciò non conta: anche lui ha avuto il suo spazio a fresco dell’ombra.

Alcuni vicini arrivano da strade limitrofe per parcheggiarci sotto il muso: è una sorta di guerra fredda a chi si accaparra il posto migliore.
Naturalmente io e i miei siamo costretti a parcheggiare sotto casa dei nostri vicini: una scatola di cemento armato con forse un balcone, in pieno sole.

A dire il vero non mi ero mai resa conto che la mia piccola casa potesse avere questa forma di attrattiva e questa “speciale” qualità: quella di attirare i cacciatori d’ombra.
Ma solo d’estate: nelle altre stagioni è tutto un “signora, le more cadono per terra, signora si scivola”, “guardate che dovete tagliare le rose perché non sono ad altezza regolamentare”, “signora qui è l’ENEL, il glicine che cresce nel vostro giardino potrebbe arrampicarsi sul filo e strapparlo”.
E dunque cosa si fa?  Si costruisce una casa, se ne stabilisce un perimetro in tutte e tre le dimensioni spaziali, larghezza, altezza e profondità,  e tutto quello che esubera viene tagliato? In questo modo avremmo dei meravigliosi villini con la vegetazione scolpita a filo come se si trattasse di un muro verticale di Patric Blanc. Bello per uno scenario di fantascienza.

Nessuna concessione  -non dico al disordine – ma alla vita. Siamo così abituati a controllare la natura che pensiamo che essa possa, anzi debba, svilupparsi secondo i limiti, le regole, i canoni, e le limitazioni che noi le imponiamo. L’assoluta ignoranza del “vicino” e delle amministrazioni comunali in materia di natura e biologia, non contempla perimetri un po’ più disordinati, alberi fatti crescere con le chiome in libertà, tappeti erbosi fioriti, sinonimo non di trascuratezza e sporcizia ma di eco-diversità, biodiversità, vita, o come volete chiamarla. I bordi delle strade devono essere puliti fino a scoprire il color paglia delle erbe morte, ma a chi vuoi che diano fastidio un po’ di fiorellini lungo il bordo stradale?

L’assessore all’ambiente, con tono perentorio, sostiene che “le erbacce vanno tolte”, anche quando queste siano patrimonio di ricchezza e promessa di vita in futuro. Le cose che “fanno bene” (guarda tu, come fosse una medicina) alla popolazione sono i parchi gioco zeppi di pubblicità, i premi “miss questo o miss quello”, i lidi lungo le spiagge, i dancing, i ristoranti, i pub, le birrerie, le feste paesane, le sagre, le feste patronali, le discoteche,  i locali notturni e le feste rionali. Non di certo la sanità pubblica, una viabilità che sia meno che orrorifica, la preservazione del nostro poco, pochissimo patrimonio arboreo  e di quello floreale, ormai volgente alla gariga anche i luoghi meno ruderali.

I margheritoni, la violacciocca delle spiagge, i loti, la veccia bianca e le graminacee spontanee, di una delicatezza eterea e di un colore verde limetta, soffici come piume d’angelo, che dall’inverno a metà estate rendono aggraziata una miserevole pista ciclabile cittadina, e che sono il piccolo popolo residuo della vasta comunità della flora psammofila delle nostre spiagge, devono essere senza pietà eliminate, in modo da dare l’idea di pulizia e di ordine.

La stessa che chiede il “vicino” durante l’inverno, quando nella sua macchina non fa caldo.

Non si tratta di due o tre margherite o di un paio di alberi finiti sotto la motosega. Si tratta di qualcosa di ben più pericoloso e deleterio: l’incapacità di vedere la bellezza, e la bellezza della vita, laddove si presenta, e la mancanza di intelligenza di preservarla e curarla come il più grande tesoro che possediamo.


[1] Su questo sito non troverete la parola “italiani” scritta con la maiuscola

[2] Vedi nota 1


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