15 ottobre 2015 Lascia un commento
Che Berto sia l’autore italiano al quale sono piu’ legato non e’ un mistero e neppure lo e’ l’ammirazione e in qualche modo la comunanza che sento con lui. Autore poco, pochissimo amato da chi comanda e non certo per motivi letterari ma sempre e solo per via delle piccole menti che non riescono a contenere altro che la misera ideologie che gli appartiene.
Soliti vecchi discorsi.
Figuriamoci quindi che accadde quando Berto se ne usci’ con questo diario di guerra che egli combatte’ da Camicia Nera in Africa, o meglio racconta di quando torno’ in Africa nel 1942 dopo aver partecipato come volontario alla guerra in Abissinia nel 1934 ed essere stato ferito in battaglia.
Un ritorno voluto e non imposto quindi, forzando peraltro il regolamento che gli avrebbe permesso di restare in Patria senza esporsi ulteriormente ad ulteriori pericoli. Dopo El Alamein la guerra era perduta ma ancora non si sapeva, ancora si sperava affidandosi piu’ ai tedeschi che alle sole forze italiane e al grande genio tattico di Rommel ma nel momento in cui venne rimpatriato e mezzi e viveri scarseggiavano, all’esercito non resto’ altro da fare che ripiegare sino alla resa finale. Berto combatte’ la guerra da tenente responsabile dei rifornimenti, posizione che nella fase finale del conflitto, con la prima linea ad arginare l’avanzata inglese, non era certo comoda o semplice e tantomeno esente da pericolo. Il diario s’interrompe con la resa e la cattura.
Sappiamo che in seguito fu internato nei lager alleati, quelli dei vincitori percio’ buoni, riservati ai combattenti fascisti o meglio a coloro che non tradirono.
Il suo e’ un racconto asciutto ma non sono favole, e’ vita vissuta, non leggenda romanzata, ordinaria per quanto puo’ essere ordinario un conflitto mondiale ma oggi abbiamo ben altri parametri di valutazione. Cio’ che realmente colpisce e’ la sincerita’ che sin dalle premesse caratterizza i ricordi totalmente esenti da ogni retorica fascista ma nel contempo orgogliosi e decisi. Berto non nasconde il proprio Credo ma come molti altri, perse la fiducia non tanto nel fascismo quanto in cio’ che era diventato, restando fedeli all’idea di una societa’ basata sull’ordine e la disciplina ma non come Mussolini la stava gestendo. Percio’ torno’ a combattere, perche’ prima bisognava vincere la guerra e all’occorrenza far cadere il regime per ricostruirlo ancora piu’ grande e potente.
Al contrario vi furono vili nascosti come topi sui monti che se ne uscirono a guerra finita con l’arroganza da vincitore, per poi fare la tragica fine del suddito lasciando il conto da pagare ancora oggi.
Poteva esistere un futuro migliore, questa e’ la grane lezione che Berto ci insegna e doveva essere qualcosa di molto, molto diverso da oggi e non solo in Italia ma soprattutto in Africa e con cio’ che sta accadendo, e’ molto piu’ che accademico domandarsi cosa sarebbe successo se il fascismo avesse conservato le sue colonie.
Berto nella prefazione si scusa e non con i suoi nemici che tanto lo stroncherebbero comunque e a prescindere, quanto coi commilitoni e camerati perche’ l’eccessiva sincerita’ ridimensione l’epica combattente.
In parte e’ vero ma allo stesso tempo il sacrificio dei nostri soldati si rafforza nella cronaca del dramma che hanno vissuto, persino nelle debolezze, le uniche a rendere l’uomo eroe. Le ragioni per leggere il libro sono piu’ storiche che letterarie ma l’importante e’ farlo, sempreche’ non si faccia parte di coloro che si nascondono nei boschi.
Soliti vecchi discorsi.
Figuriamoci quindi che accadde quando Berto se ne usci’ con questo diario di guerra che egli combatte’ da Camicia Nera in Africa, o meglio racconta di quando torno’ in Africa nel 1942 dopo aver partecipato come volontario alla guerra in Abissinia nel 1934 ed essere stato ferito in battaglia.
Un ritorno voluto e non imposto quindi, forzando peraltro il regolamento che gli avrebbe permesso di restare in Patria senza esporsi ulteriormente ad ulteriori pericoli. Dopo El Alamein la guerra era perduta ma ancora non si sapeva, ancora si sperava affidandosi piu’ ai tedeschi che alle sole forze italiane e al grande genio tattico di Rommel ma nel momento in cui venne rimpatriato e mezzi e viveri scarseggiavano, all’esercito non resto’ altro da fare che ripiegare sino alla resa finale. Berto combatte’ la guerra da tenente responsabile dei rifornimenti, posizione che nella fase finale del conflitto, con la prima linea ad arginare l’avanzata inglese, non era certo comoda o semplice e tantomeno esente da pericolo. Il diario s’interrompe con la resa e la cattura.
Sappiamo che in seguito fu internato nei lager alleati, quelli dei vincitori percio’ buoni, riservati ai combattenti fascisti o meglio a coloro che non tradirono.
Il suo e’ un racconto asciutto ma non sono favole, e’ vita vissuta, non leggenda romanzata, ordinaria per quanto puo’ essere ordinario un conflitto mondiale ma oggi abbiamo ben altri parametri di valutazione. Cio’ che realmente colpisce e’ la sincerita’ che sin dalle premesse caratterizza i ricordi totalmente esenti da ogni retorica fascista ma nel contempo orgogliosi e decisi. Berto non nasconde il proprio Credo ma come molti altri, perse la fiducia non tanto nel fascismo quanto in cio’ che era diventato, restando fedeli all’idea di una societa’ basata sull’ordine e la disciplina ma non come Mussolini la stava gestendo. Percio’ torno’ a combattere, perche’ prima bisognava vincere la guerra e all’occorrenza far cadere il regime per ricostruirlo ancora piu’ grande e potente.
Al contrario vi furono vili nascosti come topi sui monti che se ne uscirono a guerra finita con l’arroganza da vincitore, per poi fare la tragica fine del suddito lasciando il conto da pagare ancora oggi.
Poteva esistere un futuro migliore, questa e’ la grane lezione che Berto ci insegna e doveva essere qualcosa di molto, molto diverso da oggi e non solo in Italia ma soprattutto in Africa e con cio’ che sta accadendo, e’ molto piu’ che accademico domandarsi cosa sarebbe successo se il fascismo avesse conservato le sue colonie.
Berto nella prefazione si scusa e non con i suoi nemici che tanto lo stroncherebbero comunque e a prescindere, quanto coi commilitoni e camerati perche’ l’eccessiva sincerita’ ridimensione l’epica combattente.
In parte e’ vero ma allo stesso tempo il sacrificio dei nostri soldati si rafforza nella cronaca del dramma che hanno vissuto, persino nelle debolezze, le uniche a rendere l’uomo eroe. Le ragioni per leggere il libro sono piu’ storiche che letterarie ma l’importante e’ farlo, sempreche’ non si faccia parte di coloro che si nascondono nei boschi.