Guerra in Libia: tutorial, così non ci sbagliamo

Creato il 18 febbraio 2015 da Danemblog @danemblog
Il precipitare della situazione in Libia, l'euforia e l'isteria dei nostri commenti, l'effettiva vicinanza (e non solo geografica), sta portando la questione sulla bocca di tutti ─ non c'è da preoccuparsi, entro il weekend ce ne saremo già dimenticati.
Vale dunque la pena mettere in fila un po' di cose, per evitare fraintendimenti.
Chi è al potere in Libia?
Gheddafi non c'è più: e già questo che sembra un dato ovvio, tanto ovvio non è. Anzi, è un buon inizio, per ricordarci che il raìs non c'è più dal 2011, anno in cui un intervento internazionale rovesciò la sua dittatura ─ nota per quelli che "era meglio quando c'era Gheddafi", riguardatevi un po' la storia degli attentati, delle minacce, delle bombe sugli aerei, e delle ondate di profughi, dai Settanta in poi.
L'intervento internazionale avrebbe dovuto favorire il processo democratico nel Paese, ma, all'opposto, la Libia si è spaccata in due, sulla linea di due realtà storiche interne: la Cirneaica, a est, e la Tripolitania, a ovest.
A est, adesso, c'è il Parlamento di Tobruk (esiliato da Tripoli) con a capo Abdullah al Thini, eletto nel giugno 2014 e l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale: è costituito da entità laiche, alcuni spurghi più o meno puliti del regime, e con loro c'è pure il generale Haftar (quello dell'operazione "Dignità", che a un certo punto ha pure pensato di fare una specie di golpe, ma poi è tornato indietro).
A ovest invece c'è il Consiglio nazionale libico (viene chiamato anche parlamento di Tripoli), che è un'entità a maggioranza islamista, guidata dallo pseudo premier Omar al Hassi ─ a livello internazionale, non ha grossi riconoscimenti. Per l'ovest è schierata una cosa simile a quella del generale freelance (definizione rubata al Foglio) Haftar: è un gruppo combattente che racchiude diverse milizie d'ideologia islamista, che si chiama "Alba della Libia".
Di qua o di là, la realtà è ancora diversa. Perché il territorio libico in effetti non è comandato da questi due "governi" ─ almeno non soltanto. Il paese è spartito tra gruppi di combattenti locali, milizie tribali (thuwar), che comandano esclusivamente la propria porzione di territorio ─ in cui, però, sono molto radicati. Diverse di queste hanno combattuto contro Gheddafi al fianco delle forze internazionali ─ ma, a scanso di noie, non sono finanziate da noi o da qualcun altro, fanno i fatti loro e seguono un'agenda basata su interessi diretti (e locali).
Sì, ma perché combattono?
Combattono perché quegli interessi personali sono più forti della stabilità globale del Paese: anzi, fondamentalmente, della stabilità globale non gliene importa niente, e nemmeno del Paese. Almeno per le realtà piccole. Poi c'è una storia più ampia.
Esistono due galassie di riferimento per queste forze tribali, che guidano per certi versi tutto il processo in corso: una è quella di Misurata, realtà tribale vicina agli islamisti, l'altra è la tribù Zintan (alleate con Haftar e dunque più vicina ai laiconi di Tobruk). La storia è complicata, se si pensa che le due tribù ai tempi della guerra a Gheddafi (che è il passaggio di riferimento per la storia contemporanea della Libia) erano alleate. La guerra è cominciata per conquistare postazioni di potere in quello che sarebbe dovuto diventare il nuovo governo, promosso dalla democrazia importata dalla Comunità internazionale.
Nel pentole la religione c'entra e non c'entra, anche se è vero che hanno cominciato gli islamisti, quando dopo una tornata elettorale nel 2013 hanno occupato armati i ministeri; ma volevano farlo per costringere il Parlamento eletto a votare a favore di una legge che bandiva il ritorno in politica degli ex membri della dittatura.
Più della religione, c'entra invece il petrolio: ognuno vuole che la sua tribù e quelle alleate, traggano più guadagni possibile dalle estrazioni, che sono l'unico, vero, asset economico del Paese ─ molte compagnie internazionali hanno impianti in Libia, anche l'Eni ha in uso un terminal a Melita. Si combatte molto intorno ai siti estrattivi, e la situazione ha portato a una forte contrazione della produzione.
E lo Stato Islamico in Libia?
Diversi combattenti islamisti, hanno salutato con favore la fondazione da parte del Califfo Baghdadi dello Stato Islamico tra Siria e Iraq, ma inizialmente erano talmente impegnati a combattersi tra loro, che al di là di un "ah, sì, buona idea", non sono andati (ora, alcuni gruppi della grossa milizia filoqaedista Ansar al Sharia, sembra siano in smottamento verso l'IS).
Ma siccome il Califfo sa che la sua influenza ha maggior peso in stati falliti (la Libia, a tutti gli effetti, è un Paese in cui il governo regolare non riesce a controllare il proprio territorio, e dunque uno stato fallito), ha pigiato sull'acceleratore. La diffusione delle istanze dell'IS in Libia, ha una storia analoga a quella in Siria. Baghdadi si era concentrato sull'Iraq, ma poi il vuoto di potere offerto dalla guerra civile siriana, è sembrato un ottimo presupposto per allungare i propri artigli su un territorio, su dei proseliti, su delle armi. E così sta avvenendo in Libia. Differenza: prima, in Siria, molti Stati erano disattenti, e si sono lasciati sfuggire il polso della situazione, permettendo all'IS di espandersi tantissimo (c'era pure la complicazione di Assad e della guerra civile, sia chiaro); adesso, con la Libia, l'esperienza ha fatto da vaccino, e si pensa a un intervento prima che sia troppo tardi.
La propaganda dell'IS sul territorio libico, è sicuramente molto più forte della reale presenza degli uomini del Califfo (non si sa quanti siano realmente). A parte le descrizioni sghembe fornite dai media italiani, finora le porzioni controllate sono poche (più che altro a Derna, che è la prima città parzialmente conquistata, e ora un po' a Sirte), ma è possibile che l'idea del Califfo sia di favorire un'espansione di quei territorio, sull'impronta della struttura siro-irachena.
E noi, che rischi abbiamo?
Il fatto che si instauri un Califfato islamico, basato sulla ferrea applicazione della sharia, a pochi chilometri dalle coste italiane (ed europee), non è certo rassicurante ─ visto, poi, la considerazione che quelli dell'IS hanno dell'Occidente. Però, a parte le minacce, non c'è da temere certamente un'azione militare dello Stato Islamico contro l'Italia. Questo è banale, ma c'è in giro qualcuno che si pensa che i barbuti di Baghdadi si possano muovere e invadere la Sicilia: non è così, per adesso e per diverso tempo, poi chissà, ma non ce la gufiamo. Altra cosa: a parte quelli del Giornale, nessuno è a conoscenza della reale esistenza di missili in mano ai combattenti dell'IS in grado di arrivare in Sicilia. I missili non ce li hanno proprio (così come non hanno aerei e soprattutto piloti in grado di guidarli), ma qui c'è molta confusione: domenica a pranzo, una persona mi faceva notare che "se dovessero sparare dall'Algeria potrebbero pure arrivare sulle nostre coste", come se Libia e Algeria fossero la stessa cosa; ieri il gruppo giovanile di Forza Italia Sardegna, chiedeva a gran voce che il governo italiano intervenisse per risolvere la situazione libica (non che non sia necessario, sia chiaro), mettendo una piantina con i riferimenti chilometrici ad indicare la vicinanza tra quello che doveva essere il suolo libico e le coste sarde e siciliane: la cartina, però, indicava la Tunisia, non la Libia.
Il rischio più grosso, quello effettivamente esistente, che corre il nostro Paese, è che tra i migranti che arrivano continuamente, possano esserci degli infiltrati dell'IS, inviati con il compito di compiere attentati. Questa è una realtà che un operativo dell'organizzazione di Baghdadi, ha raccontato in esclusiva a BuzzFeed (e di cui tempo ne avevo già scritto sul Giornale dell'Umbria). Da notare, che la situazione libica rappresenta un'opportunità in più, visto che l'Italia era già indicata dal Califfo come uno degli stati nemici, visto che sta sostenendo la campagna anti-IS in Iraq.
Il problema profughi e sbarchi, non ha avuto un reale incremento dopo che l'IS si è stanziato in Libia ─ non è questo il piano del Califfo, che dovrebbe scontrarsi pure con la mafia incallita degli scafisti. Sebbene, dai dati, ci sia un incremento del 60% rispetto a gennaio 2014: ma il punto, semmai, sta nel passaggio tra Mare Nostrum a Triton, che sono i due sistemi di monitoraggio dei migranti promossi dall'UE (Giornalettismo si è occupato molto bene dell'argomento).
Beh, alla fine dei conti?
La Libia è un disastro, cade a pezzi da mesi, e la situazione negli ultimi periodi è peggiorata perché le forze del Califfato hanno rotto una sorta di pausa strategica e hanno conquistato i primi territori. Territori che sono comunque molto limitati: la Libia non è in mano al Califfato, che anzi è una realtà marginale tra tutte quelle milizie che da tempo si stanno facendo la guerra. Non è vero quindi, quello che la malafede (per interesse o per piacere di fare letteratura) italiana sta raccontando.
È verissimo, invece, che il nostro Paese è uno di quelli a rischio attacchi terroristici (attacchi simili a quelli di Bruxelles, Parigi, Copenaghen, Sydney).
Questo non vuol dire che la situazione in Libia non va sistemata, che è un discorso a parte, che si sostiene da tempo (ora, anzi, la presenza dello Stato Islamico, può rappresentare un motivo in più per la pacificazione tra le due grandi realtà che si stanno combattendo).


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