Riportiamo qui per intero un articolo di Maurizio Mazziero per gentile concessione del MazzieroResearch:
Quali potrebbero essere le conseguenze sul prezzo del petrolio di un intervento in Siria?
(Sul medesimo argomento si è parlato anche nella trasmissione Salvadanaio di Radio 24 del 3 settembre 2013; per ascoltare un breve estratto di 2 minuti cliccare qui.)
Rispondere a questa domanda non è affatto semplice in quanto:
- Non conosciamo le modalità e l’incisività dell’intervento militare.
- Non sappiamo se Russia e Israele giocheranno un ruolo al riguardo.
Non ci resta quindi che fare una serie di considerazioni.
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La prima considerazione è che:
Generalmente il prezzo del petrolio tende a salire nei periodi antecedenti a un intervento militare per poi scendere una volta che sono iniziate le ostilità.
Non fu così per la Libia dato che si trattava di un paese produttore di un certa importanza, con una produzione di 1,4 milioni di barili al giorno (mbd).
Ma non è questo il caso della Siria, che sino un paio di anni fa produceva 300.000 barili al giorno e che attualmente ne produce meno di 100.000 al giorno, per lo più destinati all’uso interno.
L’impatto pertanto dovrebbe essere modesto salvo ripercussioni per un sovraffollamento dei passaggi nel Canale di Suez, dove ogni giorno transitano 44 navi di cui 10 destinate al trasporto di petrolio per 3,5 mbd.
La situazione però potrebbe aggravarsi qualora vi fosse un coinvolgimento dell’Iran a sostegno della Siria, non tanto per i 3,5 mbd da lui prodotti, che non sono disponibili a causa dell’embargo nei suoi confronti, ma piuttosto per un blocco anche momentaneo dello Stretto di Hormutz da cui transitano 16,5 mbd.
In tal caso l’impatto sarebbe pesante e provocherebbe un aumento considerevole delle quotazioni del petrolio.
La seconda considerazione è che:
La notizia dell’utilizzo di armi chimiche (gas Sarin) in Siria è apparsa il 21 agosto, anche se era trapelato un primo allarme già il 27 maggio sul quotidiano Le Monde.
In realtà il petrolio è in rialzo da metà aprile da quando ha iniziato a salire dagli 86 dollari/barile, mettendo a segno un rialzo di quasi il 25%; inoltre presenta una curva delle scadenze dei contratti future invertita (backwardation) piuttosto ripida con una differenza di oltre 12 dollari tra la scadenza a pronti di ottobre 2013 e quella dell’anno successivo (ottobre 2014).
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Ciò significa che ci troviamo di fronte a un mercato in tensione a causa di uno sbilanciamento tra domanda e offerta, e che quindi l’attuale crisi Siriana non è la causa di questa salita dei prezzi.
Ad agosto 2013 la produzione mondiale è stata di 90,5 mbd, mentre il consumo è stato pari a 90,8 mbd (+0,3 mbd rispetto all’offerta). Inoltre attualmente si stanno verificando delle interruzioni di produzione inaspettate in Iraq, Libia e Nigeria; particolarmente acuta quella libica, la cui produzione è scesa da 1,4 mbd a soli 250.000 barili/giorno a causa di agitazioni.
Nell’ultimo anno la comunità finanziaria si è cullata nella convinzione di:
• Una futura indipendenza energetica degli Stati Uniti.
• Una prospettiva di bassi prezzi del petrolio.
Due aspetti emersi grazie ai nuovi metodi di estrazione di gas e petrolio non convenzionale. In realtà:
• La sostenibilità dei volumi di produzione di questi metodi è tutta da accertare.
• Si tratta di produzioni che richiedono un prezzo del petrolio elevato (maggiore agli 80 dollari).
Si veda anche l’articolo Energia, rischio geografico e shale oil.
Da qui al 2030, secondo le caute stime dell’Agenzia per l’Energia degli Stati Uniti, il consumo mondiale dovrebbe salire a 105 mbd (+16%) in concomitanza a un calo fisiologico dei giacimenti storici.
In un documento di qualche anno fa restava un “buco” di 43 mbd la cui copertura veniva indicata con la definizione “progetti non identificati”; nei documenti più recenti la questione assume contorni più sfumati attribuendo ai metodi di produzione non convenzionali un ruolo forse un po’ troppo di rilievo.