Negli
oltre trent’anni
in cui cattolici e protestanti si sono scannati in Irlanda del Nord
(1972-2005) v’è
mai stato qualcuno che abbia tentato di spiegarci quel conflitto come
una disputa teologica sugli effetti della Grazia? Quando, ad esempio,
l’Ira
fece 28 morti e 36 feriti con un’autobomba
a Omagh – era il 1998, praticamente l’altrieri
– vi fu chi rubricò la strage come ennesimo capitolo di una guerra
di religione? Macché, il coro fu unanime: si trattava di un
attentato terroristico, l’ennesimo
attentato ad opera di un movimento armato che rivendicava
l’indipendenza
dell’Irlanda
del Nord dal giogo del Regno Unito. E il fatto che questo movimento
si dichiarasse cattolico? Del tutto strumentale, non v’era
dubbio.
Per meglio dire, qualche dubbio poteva anche esservi: in prigione
perché pesantemente indiziato di aver compiuto un attentato, un membro dell’Ira
come Bobby Sands non aveva ricevuto un rosario mandatogli dal Papa?
Ma no, la religione rimaneva un elemento tutto sovrastrutturale allo
scontro tra unionisti ed indipendentisti, i terroristi dell’Ira ne facevano il paravento dietro il quale si battevano per una posta in gioco che era tutta politica. E il fatto che gran parte dei loro attentati cadessero in date dichiaratamente evocatrici dei più salienti episodi delle guerre di religione del XVII secolo? Un tentativo di accreditarsi come i discendenti della nobile schiatta di martiri cattolici immolatisi per strappare l’Irlanda all’eresia anglicana. Ma era religiosa la posta in gioco per la quale tra il 1641 e il 1653 persero la vita più di 20.000 indipendentisti e quasi 15.000 unionisti? Gli storici dissentono.
Come andava affrontata,
dunque, la notizia della strage di Omagh, nel 1998? Prendiamo
dall’emeroteca
un giornale a caso.
Il Foglio, 18 agosto 1998 - pag. 1
Sette righe, nessun riferimento alla matrice cattolica del gruppo terrorista, nessun articolo di approfondimento sulla relazione tra fede e violenza, e sì che la storia del cristianesimo è sempre stata un mattatoio a cielo aperto. La religione non era in discussione, punto. Strumentale era l’uso che ne facevano i terroristi, strumentale sarebbe stato riconoscergliene la legittimità.
Veniamo
all’oggi,
a quella che, quando non è spacciata come guerra di religione che
l’islam
avrebbe dichiarato all’occidente giudaico-cristiano, ci si
accontenta di spacciare come conflitto tra sciiti
e sunniti. Prendiamo un giornale a caso dalla mazzetta.
Il Foglio, 5 gennaio 2016 - pag. 4
Sciiti contro sunniti, ma, sia chiaro, in quanto sciiti e sunniti, e cioè rappresentanti di due
correnti religiose che in seno all’islam sono da sempre irriducibili: Iran e Arabia Saudita sono ai ferri corti per la vexata quaestio tra imamato e califfato, mica per il controllo dell’area mediorientale. È guerra di religione, signora mia, poco importa se dall’islam – tutto – in guerra contro l’occidente giudaico-cristiano passiamo in un battibaleno a due pezzi d’islam in guerra l’uno contro l’altro.
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