[luigi veronelli con sommelier fisar - fonte wikimedia commons]
di Giuliano Fago Golfarelli – Arriveranno fulmini e saette. Bicchieri, coltelli e anche forchette.
Ma stavolta sono proprio in tema perché mi riferisco alle infinite guide, tra un’edizione e l’altra, assaggiano, degustano, commentano e danno voti ad alzo zero.
Parlo dei bicchieri del Gambero Rosso, ora holding editoriale e un tempo appannaggio di cultori e innovatori del bere bene e giudizi anche allora senza ombra di dubbio.
Non me la prendo se vince l’Alto Adige, il Trentino perde punti, la Toscana regge, se i rosati pugliesi si fanno spazio e si scopre che la nostra nuova Australia, Sud Africa o California del vino è la Sicilia.
Agli amici più giovani provo a raccontare in sintesi la storia delle “Guide”, delle menzioni un tempo che erano utili a migliorare il prodotto, dei personaggi che crearono un itinerario che ancora oggi molti percorrono. Per fortuna.
Prima “luce” è stato Luigi Veronelli (Milano, 2 febbraio 1926 – Bergamo, 29 novembre 2004) che attraverso molteplici esperienze, dettava a modo suo legge da Bergamo alta.
La cultura non gli veniva dal vino ma da una laurea che con le vigne c‘entrava poco, ma tale da fargli profetizzare che: “L’Italia si protende nel mare – dai ghiacciai alpini alle isole (Pantelleria e Lampedusa) – sino ad affrontare l’Africa. Ha il privilegio di terre, climi e storia e uomini d’ineguagliabili possibilità, colpevoli gli uomini di non averle ancora colte…”.
Classe e stile anche quelli di Vincenzo Buonassisi e Anna Pesenti, tandem illustre e coccolato che spaziava dal vino, all’alta ristorazione, allo spumante italiano allora quasi in fasce. Segnavano anche loro un sentiero seguito per altre vie da Pino Khail (Civiltà del Bere) che si assicurava giornalisti come Cesare Pillon.
Negli anni ’80-‘90, pieni di vendemmie e fermenti, di voglia di migliorare, nasce il “Gambero Rosso” (Piemonte – Brà) con il fondatore Stefano Bonilli, seguìto dalle penne di Daniele Cernilli e Carlo Petrini che insieme a Slow Food, inventano quella guida dei “Vini d’Italia“, che diventa una delle più autorevoli guide dei vini italiani, sia a livello nazionale che internazionale.
In quel ventennio calano un poco guide come la Michelin ma nascono anche quelle dell’ “Espresso”. Non sono i contenuti che mancano, ma è il nuovo modo di viaggiare, assaggiare, leggere e anche di comunicazione che prende tutti.
Un certo calo lo hanno anche i “Piatti del Buon Ricordo”, creati nel 1964 da Dino Villani, altro ricercatore e innovatore della buona tradizione italiana.
Il mondo cambia e nascono i B&B, i vini famosi (o meno) sono venduti ai supermercati: insomma tutto diventa “business” !
Ma non è vero che tutto sia finito così. Ci sono persone che, con eleganza, stile e conoscenza – magari con qualche critica pungente ma veritiera – proseguono ancora il Sentiero del Buon Gusto. E, se permettete, cito subito il lombardo FrancoZiliani, il gastronauta lombardo-emiliano Davide Paolini , i nostri trentini Augusto Giovannini (Pantagruel, rivista bellissima morta quasi sul nascere,) e Nereo Pederzolli, attivo personaggio di questa nostra piccola storia atesina.
Per finire – non è pecoronesca solidale piaggeria – ci metto Cosimo che con questo blog e tante altre iniziative, modestia e autodeterminazione prosegue quella strada abbastanza difficile fatta di vigne, temporali, vini…da bocciare inesorabilmente e produttori con la feccia sotto al naso.
La storia di queste persone – che conosco e ho conosciuto – ha solo un grande ostacolo: se parli bene siamo amici, sennò vedremo…. Ed io sono come loro e come loro mi sento.
Sono i Vinitaly tridentini da venti e più anni, dei papagalli sul trespolo al banco degustazione, delle fighette sponsorizzate, del vicino che non merita alcuna considerazione perché io sono molto, molto più bravo.
E’ questa la vita di professionisti che con chiarezza sanno dire ancora PANE AL PANE (ristorazione e dintorni) e VINO AL VINO (e qui certo gli esperti non mancano!).
Una vita difficile, poco considerata a causa del colesterolo espanso, di una politica territoriale inesistente, di eccessi alcolici degni del ritiro della patente e, soprattutto, perché chi esprime una chiara opinione su qualcosa che è chiaramente indefinito risulta un “nemico” e non certo il “consulente” qualificato.
Grazie a quelli che ho citato, a voi che mi leggete e all’amico di famiglia Dino Villani che creò negli anni ’30 quel cavallo di battaglia della comunicazione che era e rimane ancora :
“Chi beve birra campa 100 anni!”.
Ma chi beve vino, grappa trentina e mangia una mela al giorno – per me arriva certamente ai 102.
Minimo! E’ il nuovo appeal dopo il pluridimenticato: “Trentino fa rima col Vino”
Giuliano Fago Golfarelli