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La primavera del 2012 è stato un periodo molto convulso per l’Africa Occidentale: poche settimane dopo il colpo di Stato in Mali, vi è stato un importante sconvolgimento politico in Guinea Bissau. Il Paese, che da lunghi anni vive una situazione di instabilità, ha visto emergere in modo brutale le posizioni dell’élite militare. Infatti nel Paese si stava cercando di mettere in pratica delle politiche volte a ridimensionare il ruolo storico dei vertici dell’esercito che, per lungo tempo, hanno avuto voce in capitolo nelle scelte politiche della Guinea Bissau. Nel momento in cui queste nuove politiche stavano mettendo a repentaglio lo status quo, si è scatenata la reazione violenta dell’esercito che ha preso in mano le sorti del paese proprio nel momento in cui si stavano tenendo le elezioni presidenziali, in seguito alla morte prematura del Presidente Malam Bacai. Il Paese oggi rischia di essere un nuovo esempio di Stato fallito, contraddistinto dalla mancanza di un potere politico capace di affrontare i problemi che fin dall’indipendenza pregiudicano il benessere dei suoi cittadini1. La corruzione ed il traffico di stupefacenti determinano una situazione di sottosviluppo economico e sociale che fanno sì che il Paese sia uno dei più poveri al mondo.
Fin dal momento della sua indipendenza, l’ex colonia portoghese ha subito il ruolo dominante dei militari senza poter limitare in alcun modo il loro peso nelle scelte, non solo politiche, ma anche economiche2. Nel 1999, le Nazioni Unite decisero di dar vita alla missione UNOGBIS, per affrontare tre ordini di problemi. In primis doveva essere risolta la crisi politica che perdurava ormai da un lungo periodo e che aveva portato ad una cronica incapacità nella risposta alle richieste della popolazione; in secondo luogo le condizione di vita precarie della popolazione, che nel 1999 superava di poco il milione di individui; infine, le difficoltà incontrate dai governi nel tentativo di regolamentare l’economia del paese. La mancanza di uno sviluppo economico era anche dovuta alla mancanza, o quasi, di una classe imprenditoriale che potesse sfruttare le risorse umane e naturali di cui è dotato il territorio3. Per queste ed altre ragioni, gli obiettivi della missione delle Nazioni Unite riguardavano la possibilità di garantire una pace stabile e duratura. Le Nazioni Unite volevano far sì che questo percorso andasse avanti a tappe forzate e che si concludesse con lo svolgimento delle elezioni presidenziali. Questa missione fu messa in piedi anche perché vi era il rischio che l’instabilità politica potesse espandersi nei paesi confinanti, tra i quali Guinea-Conakry e Senegal. L’Africa Occidentale rappresenta da sempre un’area strategica, non solo per la presenza di risorse naturali, ma anche perché fornisce basi strategiche al controllo di un territorio densamente popolato. Alla scadenza del primo mandato della missione UNOGBIS fu presentata una relazione che esponeva i risultati ottenuti, tra i quali le elezioni presidenziali tenute proprio nel 1999, e sottolineava la necessità di una profonda riforma delle forze armate.
Nella primavera del 2012, più precisamente nel mese di aprile, Carlos Gomez Junior si apprestava a diventare il nuovo presidente dopo aver vinto nettamente il primo turno delle elezioni sfiorando il 49% dei voti e staccando nettamente il secondo candidato, Kumba Yala, fermatosi al 23%. Benché la vittoria fu netta, non avendo raggiunto il 50% più uno dei voti, non poté evitare il ballottaggio e quindi dover continuare una dura campagna elettorale. Nonostante gli osservatori internazionali non abbiano riscontrato irregolarità nelle fasi del voto, quasi tutti i candidati alle elezioni hanno manifestato il loro dissenso parlando di veri e propri brogli. Proprio per questo motivo Kumba Yala aveva manifestato l’intenzione di voler boicottare il secondo turno delle elezioni chiedendo ai suoi sostenitori di non presentarsi alle urne, tale scelta è stata motivata dall’idea che erano stati messi in essere dei brogli volti a favorire l’elezione dell’allora Primo Ministro Gomez Junior. Nella notte del 12 aprile (il secondo turno delle elezioni si sarebbe dovuto tenere il 29 dello stesso mese) un commando militare ha occupato la capitale Bissau ed ha arrestato il Presidente ad interim Pereira e anche lo stesso Gomez, prendendo in mano il potere. Nelle ore immediatamente successive al golpe si pensava che l’intervento dei militari potesse essere una risposta all’accusa di brogli e quindi un tentativo volto ad evitare un crescendo di violenza per le strade di Bissau. Effettivamente la motivazione non fu questa, infatti i golpisti non sovvertirono il normale processo democratico in seguito alle accuse di brogli da parte degli oppositori di Gomez, ma bensì perché accusavano quest’ultimo di aver sancito segretamente un accordo con un Paese straniero, cioè con l’Angola. Accordo che, a detta dei golpisti, pregiudicavano la sovranità nazionale a favore dei militari angolani già presenti nel paese da diverso tempo poiché facenti parte della MISSANG, una missione angolana volta a fornire supporto alle forze di sicurezza della Guinea Bissau. L’esercito non aveva mai accettato la presenza di militari stranieri all’interno dei confini del Paese e l’ormai scontata elezione di Gomez Junior avrebbe potuto consolidare la presenza straniera, nonostante il governo dell’Angola avesse chiarito in più occasioni la volontà di voler interrompere questa missione, proprio perché fortemente osteggiata da alcuni partiti politici4.
La missione del governo angolano nasceva proprio come risposta a quella necessità di rivedere il ruolo dell’esercito all’interno della sfera politica guineana più volte sottolineata non solo dalle Nazioni Unite ma anche dalle organizzazioni regionali africane. Tra queste organizzazioni bisogna sicuramente citare l’ECOWAS l’organizzazione economica dell’Africa Occidentale, che sta avendo un ruolo importante nella soluzione della crisi in Mali, e anche la Comunità dei Paesi lusofoni (CPLP)5. Proprio quest’ultima organizzazione, di cui fanno parte le ex colonie portoghesi ed il Portogallo stesso, si era preposta l’obiettivo di fornire sostegno alla Guinea Bissau per cercare di operare una ristrutturazione dell’esercito6. I dati riguardanti la corruzione ci consegnano una realtà che non può essere migliorata solo attraverso un ridimensionamento di quello che è il ruolo dell’esercito, bensì appare evidente che il Paese necessita di tutta una serie di riforme che modifichino profondamente l’assetto istituzionale7. Una situazione caratterizzata da alti tassi di corruzione, soprattutto nelle forze di polizia, dovuto principalmente al fatto che, oggi, la Guinea Bissau rappresenta un vero e proprio snodo commerciale della droga tra America Latina ed Europa. Gran parte degli stupefacenti prodotti nelle regioni andine prima di giungere nel mercato europeo (principalmente Spagna, Regno Unito ed Italia) passano proprio per la Guinea Bissau. I narcotrafficanti internazionali prediligono quest’area proprio per la mancanza di forze di controllo che in qualche modo possano ostacolino la loro azione e per la, già citata, diffusa corruzione. La pratica della corruzione è solamente una concausa poiché le forze di polizia guineane non dispongono dei mezzi e delle risorse che possano permetterli di contrastare efficacemente questi traffici illeciti8.
Il traffico internazionale di droga in Africa Occidentale perdura ormai da decenni e non riguarda solamente l’ex colonia portoghese, le rotte passano anche per la Guinea, ex colonia francese, e per il golfo del Benin. Le rotte scelte dai narcotrafficanti si adeguano in base al cambiamento degli equilibri e proprio per questo motivo il recente colpo di Stato in Guinea Bissau ed in Mali hanno fatto si che questi due territori siano tra quelli più allettanti. Le merci che passano per questa regione non sono solamente stupefacenti ma anche armi e uomini, soprattutto nella fascia saheliana. La morfologia del territorio, caratterizzato dalla presenza di insenature, piccole isole e numerose baie, rende tutt’altro che agevole il lavoro delle forze preposte al controllo doganale e alla lotta al contrabbando. Proprio a livello doganale che si inserisce la cattiva pratica della corruzione che rende inefficace lo sforzo dei governi in questa difficile lotta, dato il fatto che i contrabbandieri, grazie agli introiti della vendita delle droghe, dispongono di mezzi e tecnologie superiori rispetto alle forze preposte al controllo. Per questo ci si riferisce alla Guinea Bissau come un vero e proprio narcostato, cioè un Paese dove l’economia è influenzata pesantemente dal traffico di droga e dove il potere politico poco può nella lotta contro questi traffici illeciti. Tutto ciò comporta importanti conseguenze sia sul piano economico ma anche su quello sociale poiché l’economia illegale può arrivare a superare quella legale. Per questi motivi il PIL pro capite della Guinea Bissau è tra i più bassi al mondo, secondo i dati del’FMI si piazza 167esimo posto senza superare i 1200 dollari per cittadino. Dati che contrastano con le potenzialità di cui è dotato il Paese, non solo perché è ormai nota la presenza di giacimenti di gas e petrolio al largo delle sue coste, ma proprio per l’estensione delle coste che oltre a rappresentare una risorsa per poter sviluppare l’industria ittica fungono anche da approdo per quei Paese che non hanno uno sbocco sul mare. Proprio per queste potenzialità la Cina ha rinforzato i rapporti con la Guinea Bissau e, più in generale, con i Paesi membri della CPLP, riducendo i dazi doganali sia per le importazione che per le esportazioni. L’interesse cinese da un lato può rappresentare una potenzialità, ad esempio nella costruzione di infrastrutture, potrebbe contribuire ad aumentare i tassi di corruzione se non vengono portare avanti delle politiche volte a ridurre questa pratica9.
A un anno dal colpo di Stato, la Guinea Bissau vive una situazione di forte incertezza e di ancor più profonda instabilità politica. L’ECOWAS, insieme all’Unione Africana, sta cercando di delineare un percorso che porti alle elezioni ma che, nelle varie tappe di avvicinamento, possa rinforzare le fragili istituzioni statale così da evitare che proprio la chiamata alle urne diventi occasione di scontro tra l’élite militare ed i partiti, come già avvenuto in passato10. Questa situazione determina un forte peggioramento della situazione economica dato che non arrivano investimenti dall’estero, ritenuti troppo rischiosi soprattutto alla luce della crisi economica, e dato che l’opinione pubblica e la comunità internazionale concentra le sue attenzione nella crisi in Mali. Proprio la contemporanea congiuntura politica nel Sahel tende a diminuire la possibilità da parte delle Nazioni Unite, ma anche dell’Unione Europea, di poter fornire un sostegno valido ad aiutare la stabilizzazione nel Paese. Per questo motivo quello che avverrà nei prossimi mesi potrebbe essere un buon ambiente di prova per le organizzazioni regionali interessate, come l’ECOWAS e anche la CPLP, che potrebbero trovare una giusta armonia di interessi capace di portare allo svolgimento delle elezioni. Nel momento in cui ci sarà la chiamata alle urne, sarà necessario ed importante la presenza di osservatori esterni da parte delle più importanti organizzazioni governative in modo tale da mettere al riparo dagli attacchi di brogli il partito che dovesse ottenere la maggioranza dei voti. Una volta raggiunto tale obiettivo potrebbero giungere nel Paese degli investimenti esteri capaci di essere uno stimolo per l’economia e, anche grazie al sostegno delle ONG, si potrebbero studiare dei piani che possano sostenere la nascita di una classe imprenditoriale locale11. Imprenditori che hanno bisogno di essere formati e puntare su diversi settori come, ad esempio, sull’agricoltura, cercando di operare una diversificazione della produzione che, in passato, è stata legata alla produzione solamente degli anacardi. La scelta della monocoltura, cioè coltivare principalmente un solo prodotto, determina dei grossi rischi poiché nel momento in cui la domanda di quel bene dovesse calare ed il prezzo dello stesso si riducesse in modo repentino questo potrebbe determinare grosse perdite economiche. Inoltre per poter sviluppare la produzione agricola è necessario dotarsi di un know-how e di un certo livello di tecnologia che limiti i rischi legati ai periodi di siccità.
1.Patrick Chabal, A History of Postcolonial Lusophone Africa, Hurst&Co., Londra 2002
2. David Stephen, Guinea Bissau coup: military plays politics to defend own power, African arguments, 23 aprile 2012
3. Carlo Lopes, Etnia, Stato e rapporti di potere in Guinea-Bissau, GVC, Lisbona 1982
4. Patricia Ferreira, State-Society relations in Angola, FRIDE, Lisbona 2009
5. A.O. Enabulele, Reflections on the ECOWAS Community Court Protocol and the Constitutions of Member States, “International Community Law Review”, n.12/2010 p.115
6.Birgit Embalo, Civil–military relations and political order in Guinea-Bissau, “Journal of Modern African Studies”, n. 2/2012, pp. 253-281
7. M.P. Temudo, From the margins of the State to the presidential palace: the Balanta case in Guinea Bissau, “African Review”, n.2/2009
8. Demas R.R., Moment of truth: development in sub-saharan Africa and critical alterations needed in application of the foreign corrupt practices act and other anti-corruption initiatives, “American University International Law Review”, 26/2011, p.340
9. Patricia Gomes, Cina e Stati Uniti in Guinea Bissau: tra cooperazione e politica dell’assistenza, Guinea Conacry: dall’isolamento internazionale all’interesse delle grandi potenze, Meridione Sud e Nord nel Mondo, “Meridione” 2008 n.3/2012, p.86
10. Barry Munslow, The 1980 Coup in Guinea Bissau, “Review of African Political Economy” n.21/1981, pp.109-113
11. Aizenman, J., N. Marion, Policy Uncertainty, Persistence and Growth, “Review of International Economics” n. 1/1993, pp. 145–163