Il giorno prima a Le Roncole di Busseto c’era stata la festa del Santo Patrono e il gruppo di attori girovaghi si era attardato ancora un giorno nella piccola frazione della bassa Parmense. Adesso da un po’ erano seduti all’osteria e già alticci suonavano e cantavano a squarcia gola. Senza volerlo fu la più bella e la più indovinata delle accoglienze per il bambino che stava nascendo al piano superiore di quella modesta casa di campagna. Pur italianissimo, all’anagrafe lo registrarono in francese come Joseph Fortunin François perché allora c’era il dominio Napoleonico e prima che il ducato di Parma e Piacenza rientrasse nell’unità d’Italia dovettero passare quasi 50 anni. Una parte del merito fu anche di quel bambino nato nell’ottobre del 1813 che non andò mai a combattere, ma compose delle musiche talmente belle che risvegliò violentemente all’amor di patria gli animi di quel popolo ripiegato, povero e ignorante. C’è da dire però che la musica, quella popolare e l’0pera lirica, da quelle parti ce l’avevano nel sangue e senza alcun bisogno di andare a scuola non c’era contadino o paesano che non suonasse qualche strumento nella banda del paese, non cantasse un inno sacro alla messa della domenica o qualche canzonaccia sopra le righe la sera del giorno di festa.
Ma se ne accorse il padre che quel bambino aveva qualche marcia in più così quando aveva 6 anni lo mandò a studiar musica dall’organista del paese e gli regalò una spinetta di seconda mano. Era anche un po’ stonata, ma per il momento non aveva potuto fare di più. Più tardi quando aveva 10 anni lo mandò a Busseto, alla scuola municipale di musica e lì Giuseppe Verdi incontrò l’uomo che gli aprì la strada e gli rimase vicino per tutta la vita. Antonio Barezzi, mercante di coloniali, come si diceva allora, in sostanza faceva il droghiere, ma sapeva suonare ben sei strumenti musicali e con i soldi guadagnati aveva messo su una filarmonica. Accolse il ragazzino a braccia aperte e lo fece ben presto suonare nel salone della sua casa dove, oggi museo, è ancora lì da vedere il forte piano viennese che utilizzo’ il giovane Verdi durante la sua prima esibizione in pubblico. Fu in quello stesso salone che fece la sua dichiarazione d’amore a Margherita Barezzi, la figlia di Antonio, ma poi partì subito per Milano per costruirsi un futuro e sposare Margherita.
Era un genio, ma al Conservatorio che ne potevano sapere? Aveva 19 anni e dissero che era troppo grande per iniziare. Aveva un modo tutto suo di impugnare la bacchetta e dissero che aveva scarse attitudini musicali. Così lo respinsero. Del resto non c’è da meravigliarsi. Circa 60 anni dopo respinsero Einstein al Politecnico di Zurigo per scarsa conoscenza della materie letterarie.Verdi rimase però a studiare a Milano con una borsa si studio e l’aiuto di Barezzi e quando tornò a Busseto aveva un contratto in mano per la sua prima opera
“Oberto, conte di San Bonifacio”. Così sposò Margherita, nel famoso Salone di Casa Barezzi ed ebbero due figli. Sembrava che tutto andasse per il meglio quando si abbatté totale la tragedia. Margherita e i bambini si ammalarono a breve distanza l’uno dall’altro e fra il 1838 e il 1840 morirono tutti e tre. A 27 anni Verdi era un uomo finito con l’opera buffa “Un Giorno di Regno”, che fu totale insuccesso e nessuna voglia di andare avanti.Ma l’impresario Merelli lo obbligò a comporre Nabucco e quando nel 1842 arrivò alla Scala, il successo fu incredibile. A Milano dove più vivo era il sentimento liberale e più forte la voglia di riscatto, la storia dell’oppresso popolo di Israele era logico che venisse interpretata come una metafora delle condizioni attuali dell’intero popolo italiano. Poteva ancora essere considerata una di quelle operazioni culturali di più o meno velata opposizione al dominio Austro Ungarico, che si facevano in quegli anni. Ma c’era una componente in più che nessuno aveva potuto immaginare e prevedere, la musica travolgente, accesa, disperata e infiammata che il giovane Verdi seppe imporre alla storia. Suscitò un sentimento patriottico così totale e profondo che
nel centenario della morte del compositore, Ciampi, il Presidente della Repubblica ricordò “Se l’Italia divenne una sola Nazione lo si deve anche a lui e alla forza del suo linguaggio musicale.”Da allora Verdi, come un fiume in piena non si fermò più e seguitò a incitare e sostenere gli italiani in quel difficile movimento di liberazione che si concluse, almeno in parte, 20 anni dopo.
L’opera seguente “I Lombardi alla prima Crociata” aveva una struttura musicale simile al Nabucco ma un fuoco ancor più accresciuto perché in Nabucco il popolo era oppresso e avvilito, nei Lombardi il popolo è invece in armi e il messaggio politico è fin troppo chiaro. Messaggio che poi replicherà nella “Battaglia di Legnano”, dove la rivolta dei Comuni Lombardi contro il Barbarossa era così chiaramente riferita all’Imperatore Austro Ungarico che l’opera fini per essere proibita per decenni.
Arrivò il ’48, la rivolta delle 5 giornate di Milano e un osservatore straniero Alexander Von Hubner scriveva”In mezzo a questo caos di barricate si pigiava una folla variopinta. Preti col cappello a larghe tese, fregiato dalla coccarda tricolore…. borghesi portanti il cappello alla Calabrese o in onore a Verdi il capello dell’Ernani”. Quello stesso cioè del nobile divenuto bandito che
nell’opera di Verdi voleva vendicare tutti i soprusi.Dopo l’unità d’Italia Verdi divenne deputato nella prima legislatura dal 1861 al 1865. Ma era chiaro che era deluso, avrebbe voluto un Italia Repubblicana e così si ritirò presto dalla vita politica e se ne tornò a Sant’Agata nella casa di campagna con la nuova compagna Giuseppina Strepponi. Lì lavorava in pace a un ritmo pazzesco lasciando fra le sue 28 opere capolavori musicali e storie dai soggetti nuovi e stimolanti, talvolta addirittura rivoluzionari, come Rigoletto o Traviata. E alla fine curava anche gli allestimenti scenici.
A Sant’Agata era contento perché tornava a fare il contadino che non aveva mai dimenticato di essere, investiva in terreni tutti i soldi che guadagnava ed era felice di amministrarseli. Difficilmente in un’epoca in cui l’industrializzazione stava arrivando anche in Italia, e lui a Milano, nella capitale dell’industria era di casa, avrebbe investito qualcosa in una fabbrica.
Amava la cucina e il buon vino e andava fiero delle specialità della sua terra. Su di esse intratteneva anche lunghe conversazioni attraverso le lettere e i doni che era solito inviare agli amici. Famosa la lettera che scrisse al conte Arrivabene inviandogli una “Spalla di San Secondo”. Si tratta della famosa spalla di maiale di cui la Rocca di San Secondo va ancora oggi fiera e ne rivendica le origini. Pare che Verdi si fosse addirittura messo in testa di comprare quelle terre e poi non se ne fece nulla. Ma la passione per la spalla gli rimase forte. La spalla si sa è una parte del maiale che difficilmente si presta alla stagionatura. (Quando
ciò avviene arriva a risultati sublimi, ma è raro) Per questo motivo per lo più si mangia cotta e prima che venga la stagione calda perché poi perde di morbidezza e di sapore.In ricordo della passione del maestro vi proponiamo la ricetta che così rivisitata e aggiornata potete preparare in casa.
SPALLA DI MAIALE COTTA
INGREDIENTI: 2 Kg di spalla di maialino, rosmarino, aglio fresco, salvia, olio d’oliva extra vergine di oliva, sale e pepe.
PREPARAZIONE: accendete il forno e portate la temperatura a 200 °C. Disossate la spalla tenendo solo l’osso dello stinco e raschiate accuratamente la cotenna per eliminare eventuali setole rimaste.Negli spazi vuoti lasciati dalle due ossa introducete in ognuno due piccole foglie di salvia.gli aghi di mezzo rametto di rosmarino e 1 grosso spicchio di aglio a fettine. Legate strettamente la spalla,salatela,pepatela e mettetela in una teglia,bagnatela con abbondante olio. Copritela con carta metallizzata e fatela cuocere nel forno già caldo per 2 ore e 1/2. Durante la cottura spennellate la spalla di sovente con il grasso che si forma sul fondo della teglia, senza però rigirare la spalla. A cottura avvenuta estraetela dal forno, tagliate lo spago ed eliminatelo, presentate in tavola con le prime fette già tagliate. Accompagnate con purea di patate.