Il presidente Gül ha completato la scorsa settimana una visita di Stato – cerimoniale, ma soprattutto politica – in Gran Bretagna: dove ha incontrato la regina Elisabetta, i leader politici, l’aristocrazia di sangue e di penna (nel senso intellettuale e non venatorio del termine). La visita ha avuto un grande successo, con la firma di accordi commerciali e militari – la partnership anglo-turca, al contrario di quella italo-turca, è fatta di contenuti più che di retorica – e una costante attenzione da parte dei mezzi d’informazione: anche per episodi curiosi, come le scarpe assassine sfoggiate da sua moglie Hayrünnisa.
Vorrei però soffermarmi su altro, su un passaggio del discorso presidenziale di Wilton Park (alla Royal Society di Londra), in cui viene meglio articolata l’idea – a cui evidentemente la Turchia non ha rinunciato, nonostante la crisi siriana – di un “meccanismo di cooperazione economica pan-regionale” per il Medio oriente sul modello europeo, affiancato da un’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Medio oriente sul modello dell’Osce (un’area in cui non sono consentite le armi nucleari, di cui dovrebbero far parte Israele e Iran).
Un progetto ambizioso e secondo me potenzialmente vincente, ovviamente a guida turca: ma la presenza di Israele – secondo Gül “percepita come isola di apartheid in un mare arabo di rabbia e ostilità” – non lo rende forse irrealizzabile?