Magazine Cinema
Il cinema indipendente è strettamente legato al dilagare, verso la fine degli anni Ottanta, delle prime videocamere e delle prime riprese amatoriali di pseudo registi alle prime armi. L'abbattimento dei costi permise a molti aspiranti registi di dedicarsi alla loro più grande passione, ma questo non voleva dire necessariamente fare cinema. Forse il vero cinema indipendente nasce nell'era del digitale, quella del montaggio e della post-produzione casalinga o forse quando le major si sono rese conto dell'andazzo. Forse quando i blockbuster hanno iniziato a perdere i primi colpi. Credo sia importante però comprendere che cinema indi non vuol dire cinema a basso costo, né film scadenti o sciatti.
Poi uno scopre Harmony Korine e non sa più cosa pensare perché questo regista/scrittore/musicista/attore è simbolo di un cinema scomodo e malato. Tutto ebbe inizio nel 1995 con la sceneggiatura di Kids (di Larry Clark) ma la sua fama si è consolida nel 1997 con l'esordio Gummo. Ora, Gummo è un film a cui il concetto di bellezza non si appiccica neanche per sbaglio. Anzi, è difficile anche solo considerarlo un film. Uno sguardo su Xenia, cittadina dell'Ohio sconvolta dall'uragano Gummo che ne ha decimato la popolazione lasciandola nel degrado più assoluto. Forse l'uragano però è stata solo la mano divina che, abbattendosi sul paese, ne ha messo in luce il marcio che latente l'ha sempre contraddistinto e che, forse, contraddistingue l'umanità intera.
Gummo è una pellicola che, attraverso uno stile (finto) documentaristico, racconta storie terribili, personaggi disgustosi e la vita a cui costoro si aggrappano con tutte le loro forze. Adolescenti che, privi di una guida adulta (gli adulti sono morti, catatonici o peggio dei loro figli) si ritrovano allo sbando vittime di una violenza che perpetuano ai danni dei più deboli (i gatti che ammazzano per gioco e per soldi), delle droghe e di sesso mercenario. Il tutto messo insieme senza soluzione di continuità, alternando le vicissitudini dei vari protagonisti alle finte interviste degli abitanti. Per questo non si può considerare Gummo un film vero e proprio, almeno dal punto di vista formale. Attori non professionisti (tranne Chloë Sevigny), macrocefali, nani neri. Ragazzini vestiti da coniglio che pisciano e sputano da cavalcavia colmi di immondizia. Linguaggio volgare sulla bocca di bambini in età pre-adolescenziale, bestialità e l'orrore che diventa normalità in un mondo orribile.
In un certo senso Gummo è un film dotato di un'attitudine pasoliniana. Ma è anche la rappresentazione di un sogno americano che non si è mai avverato. Un incubo. Vivono nell'incubo Solomon e Tummler, piccoli mostri sniffacolla. Vivono nell'incubo Darby e Dot, ragazze assuefatte all'anormalità. Non c'è salvezza per loro, non ce n'è per nessuno. Eppure Gummo è il plateale tentativo di sconvolgere ad ogni costo, esasperato persino. Si punta sull'orrido e il grottesco, sul brutto per dar fastidio e far parlare di se. Perché è furbo, pure troppo. Quindi può piacere o no, senza mezze misure. A me è piaciuto - per la fotografia di Jean Yves Escoffier, per la colonna sonora che va dal metal all'hardcore passando per folk e classica, perché non annoia e resta un tentativo controtendenza - ma non lo reputerò mai un bel film. Perché non lo è e probabilmente non lo vuole essere.