La domenica pomeriggio le strade del quartiere sono vuote. L’aria d’inizio estate è torrida e noi non troviamo niente di meglio da fare che passeggiare fra queste vie silenziose. C’è un bar aperto, cerchiamo un tavolo sotto i dehors. Questo è il luogo di ritrovo della fiammeggiante borghesia locale, i loro cognomi sono stampati in ogni gesto, in ogni azione del corpo, fin dentro i minimi dettagli delle loro scarpe. I due ragazzi seduti al tavolo di fianco al nostro vestono in divisa d’ordinanza, i pantaloni beige, le camice bianche e i pullover blu arrotolati sulle spalle, i capelli lisci e un po’ lunghi con appena un principio di stempiatura, la puzza di classe dirigente che verrà. Il loro presente è accessibile dalla conversazione che intrattengono e che è regolata su un unico argomento, ossia macchine dai quarantamila euro in su. Più in là c’è un uomo di mezza età che sembra l’esatta proiezione nel tempo dei due ragazzotti in maniche di camicia, a distinguerli c’è solo il fitto reticolo di rughe da troppi solarium che si distende sul viso dell’uomo. La donna anziana che passa alle nostre spalle dopo qualche minuto, a sua volta, è il buco nero insaziabile che divora il mondo da secoli. Piccola, curva e nera, di una magrezza spettrale, la donna sembra una ex fotomodella mummificata. Avanza a passi lenti con il disprezzo segnato sul bordo della bocca, le dita scheletriche e cariche di gioielli, la grossa spilla d’oro che luccica al centro del petto scavato. Ha in mano una minuscola confezione di paste, la sua dose per uso personale da consumare nella buona ombra di un attico con vista panoramica, non prima di essersi assicurata il silenzio della badante con una promessa o con una minaccia. La sua voce abituata a comandare risuona con una vibrazione tormentosa, “Permesso!” esclama furibonda nell’attimo in cui un ragazzo col cane al guinzaglio ha il torto di contenderle il marciapiede. Lo sfoggio festivo di questa razza odiosa di esseri umani è rivoltante. Eppure gli sorridiamo addosso e ci diciamo che è fin troppo facile nascere, vivere e crepare in questi mondi comodi e senza scelte. Ce lo diciamo un quarto d’ora più tardi mentre osserviamo le vetrine di un negozio di calzature, in vendita c’è una sola marca di scarpe, come negli altri negozi ce n’è una sola per le giacche, una sola per gli orologi, una sola per l’argenteria, una sola per le borse, una sola per gli alimenti, andando in fondo alla strada si scopre che ce n’è perfino una sola per le casse da morto. Così, riflettiamo, una volta morti avranno il loro paradiso esclusivo in cui volteggiare senza pensare a nulla, nello stesso modo in cui hanno vissuto, come vuoti gusci d’uovo.
Carlos Trujillo, QUEGLI OCCHI CHE GUARDANO
Che cosa guardano quello che guardano quegli occhi che guardano?
Tanti pianeti diversi in questo stesso mondo
che a volte non sappiamo se siamo quello che siamo
né quando siamo
né dove
né chi si è.