Alcuni giorni fa ho parlato del quinto numero di Effemme e di come, almeno all’inizio, avessi cercato di girare attorno al tema, i mondi fantastici, per parlare d’altro. In fondo per quanto straordinari siano quei mondi quel che più mi interessa sono i personaggi. Alla fine comunque mi sono adeguata anch’io (http://librolandia.wordpress.com/2012/08/09/effemme-5/) e ho finito per scrivere un articolo generale per FantasyMagazine, articolo che ho già ripubblicato anche qui, uno su Martin (A sud della Barriera: George R.R. Martin e i Sette Regni, articolo d’apertura della rivista), uno su Robert Jordan che pubblicheremo prossimamente su FantasyMagazine, e uno su Kay, realizzato fuori tempo massimo appositamente per la rivista on line. Volevo parlare di Kay e ho usato come scusa il fatto di pubblicizzare Effemme o, se preferite, volevo pubblicizzare Effemme e ne ho approfittato per parlare di Kay. Gira che ti rigira andiamo sempre a parlare delle nostre passioni.
Quello che segue è più o meno l’articolo comparso su FantasyMagazine. Ho riscritto un passaggio perché una persona che collabora alla pagina Facebook di Kay mi ha segnalato quello che a suo giudizio era un errore e che secondo me era invece una sintesi dell’episodio. A parte questo dettaglio, l’articolo è lo stesso di qualche tempo fa e ha un’impostazione molto simile all’articolo dedicato a Martin comparso su Effemme, anche se quell’articolo è molto più lungo e dettagliato. Evidentemente a furia di occuparmi dell’argomento ho trovato un’impostazione che poteva aiutarmi a non andare fuori tema. Spero che il testo sia comunque interessante.
L’articolo:
Per Guy Gavriel Kay il punto di partenza per ogni romanzo è l’ambientazione. Lo scrittore sceglie un periodo e un luogo che in qualche modo lo incuriosiscono e inizia a leggere tutto quello che trova sull’argomento. Saggi storici o mitologici, opere letterarie o artistiche, magari anche accompagnando la ricerca con un viaggio sul luogo per poterne cogliere al meglio atmosfere e caratteristiche. Finché, gradualmente, iniziano a emergere alcuni temi intorno ai quali l’autore lavora per costruire i suoi personaggi e la sua storia.Non che trama e protagonisti siano secondari, anche se spesso i suoi libri hanno un inizio lento necessario proprio a creare l’atmosfera giusta e le numerose sfaccettature dei personaggi si rivelano solo con il passare delle pagine. Una volta che il lettore è entrato nella storia, però, scopre che interrompere la lettura è molto difficile e che tutte le figure, anche quelle marginali, sono vive e realistiche, ed è impossibile non preoccuparsi per il loro destino.
E pur senza dilungarsi in descrizioni troppo minuziose l’autore canadese è abilissimo a cogliere l’atmosfera di ogni singolo luogo e a renderlo reale con solo una manciata di frasi.
La rinascita di Shen Tai è un libro nato per caso, dettato dalla forte sensazione di dover narrare la storia di Tai e del suo mondo provata da Kay mentre era impegnato nelle ricerche preliminari per un altro romanzo. I primi studi sull’Oriente risalgono addirittura al periodo antecedente alla pubblicazione di Ysabel, poi quella storia ambientata in Provenza ha attirato la sua attenzione e la Cina ha dovuto aspettare un po’. Una volta ripreso in mano il materiale temporaneamente accantonato Kay si è trovato a deviare nuovamente dal primitivo progetto per scrivere un altra storia, anch’essa ambientata nel lontano Oriente. Se in River of Stars, il primo progetto orientale di Kay da poco annunciato per il prossimo anno, sarà importantissima la Grande Muraglia, per La rinascita di Shen Tai il primo elemento che ha catturato la sua attenzione sono state le opere di poeti cinesi quali Du Fu, Li Bai (l’Immortale Esiliato), Wang Wei, Bai Juyi e molti altri.
Li Bai è diventato Sima Zian ma ha mantenuto lo stesso titolo, Immortale Esiliato, lo stesso talento poetico e la stessa passione per alcool, donne e viaggi. Sono rimasti immutati anche l’importanza dell’arte e della raffinatezza e di un forte senso di dignità e solennità in tutto ciò che viene fatto. Esemplare in questo è la corte tenuta da Wen Jian, la Preziosa Consorte.
Teoricamente priva di posizione ufficiale in quanto semplice concubina, Wen Jian riesce ad acquisire un’importanza tale per l’imperatore del Kitai, Taizu, da fargli allontanare la sua stessa moglie, far assegnare al cugino Wen Zhou il ruolo di primo ministro e da giocare un ruolo di primo piano ogni volta che accade qualcosa d’importante. Il tutto fatto con una grazia tale da affascinare irrimediabilmente i presenti e da sottolineare la bellezza, ma anche la caducità, della realtà nella quale ciascuno si trova costretto a operare.
La copertina della versione paperback di Under HeavenLa capitale dell’impero è Xinan, un’enorme città fortificata suddivisa in settori da ampi viali nei quali le forze dell’ordine possono agire con facilità per mantenere il coprifuoco e tenere a bada la popolazione. Il reale centro di potere si trova però nella vicina residenza imperiale di Ma-wai, dove risiedono l’imperatore con le sue numerose mogli e concubine e dove lavorano i funzionari imperiali che controllano ogni aspetto della vita dell’impero.
Fra quei funzionari avrebbe voluto esserci anche Shen Tai, secondo figlio del generale Shen Gao, i cui studi di preparazione agli esami imperiali sono stati interrotti proprio dal lutto dovuto alla morte del padre.
All’inizio del romanzo troviamo Tai in quello che è forse il luogo spiritualmente più lontano dal cuore dell’impero, pur restandone al suo interno: le montagne e il lago di Kuala Nor, al confine ovest del Kitai. In quella località nel corso dei secoli gli imperiali hanno combattuto innumerevoli battaglie contro il confinante impero Tagur, l’ultima neanche troppo tempo prima, e il territorio, di una bellezza struggente ma gelido d’inverno e mortalmente pericoloso per gli incauti viaggiatori, è disseminato dalle tracce insepolte di quei conflitti. Proprio per dare sepoltura ai morti Tai conduce una vita da eremita, incurante dei fantasmi che si dice infestino il luogo e di ogni altra difficoltà, almeno finché un evento imprevisto non lo riporta nel cuore dell’impero e dei suoi conflitti.
Con la partenza di Tai da Kuala Nor il lettore inizia a conoscere varie località dell’Impero diversissime fra loro. In primo luogo i Cancelli di Ferro, una fortezza di confine priva di ogni raffinatezza e orientata alla sorveglianza dei confini, quindi la città di Chenyao. Lì, mentre il protagonista incontra nuovi amici e compie scoperte importanti per il suo destino, il lettore scopre la raffinatezza e l’edonismo di una città commerciale, volta a intrattenere gli stanchi viaggiatori e a divertirli senza opprimerli con la rigidità e il rispetto del protocollo della capitale.
Altra località molto importante è la Montagna del Tamburo di Pietra, sebbene per buona parte dell’opera il luogo sia più nominato che visto. È lì che si trova la principale sede dei guerrieri Kanlin, un ordine che, nella migliore tradizione orientale, unisce i molteplici scopi di far maturare in chi si reca sul luogo una perfetta comprensione di sé, aprire la mente alla meditazione e addestrare validissimi guerrieri che per certi versi richiamano molto da vicino i samurai.
A questi quattro luoghi si aggiungono un passo di montagna e la città di Yenling, dall’enorme importanza strategica ma, almeno quest’ultima, solo citata nel romanzo, e i confini stessi dell’Impero.
Il deserto che separa il Kitai dalla vicina Sardia, per esempio, svolge un ruolo fondamentale sia per spiegare l’importanza dei cavalli ricevuti in dono da Tai che nel condizionare la trama legata a Pioggia di Primavera, una delle più note cortigiane di Xinan, oltre che per giustificare l’atmosfera prospera e vivace di Chenyao.
L’ultimo luogo importante è talmente vasto da essere smisurato, e si trova oltre i confini dell’Impero, in quelle steppe settentrionali abitate dalle litigiose tribù dei Bogü. Le steppe sono separate dall’Impero dalle Lunghe Mura, una muraglia ovviamente ispirata alla quasi omonima fortificazione cinese che si rivelerà fondamentale in uno degli snodi narrativi. Quello che conta maggiormente però è la vastità e l’alienità di queste terre, dove una persona abituata alle raffinatezze dell’Impero si può smarrire per sempre se non è abbastanza forte da riuscire a conservare il proprio senso di identità.
Una manciata di luoghi, la piccola frazione di un continente, contengono e caratterizzano tutta la storia al punto che spesso la trama sarebbe diversa, e i personaggi compirebbero scelte differenti, se i luoghi non fossero quelli che sono. Luoghi semplici, come quella corona di montagne che cinge un lago che apre e chiude il romanzo donandogli un senso di perfetta circolarità, e complessi come la storia e il dolore che spesso si portano dietro. Perché, per quanta meraviglia o splendore ci possa essere in qualsiasi luogo o vicenda narrata da Kay, c’è sempre un velo di malinconia che ammanta ogni cosa.
I luoghi vengono vissuti e determinano le vite, poi anche loro restano indietro cancellati dall’avanzare della storia. Come ha scritto Kay,“I fiori sull’albero erano sbocciati e poi già caduti: bellissimi per poco, e poi caduti” (*).
(*) Guy Gavriel Kay, Under Heaven, 2010, trad.it. La rinascita di Shen Tai, Fanucci editore, Roma, 2012, pag. 496.
La bellissima mappa realizzata da Martin Springett: http://www.brightweavings.com/artgallery/underheavenmap.htm.