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Guy Gavriel Kay: La strada dei re

Creato il 02 ottobre 2013 da Martinaframmartino

 

Guy Gavriel Kay: La strada dei re

Il prezzo di quel ritardo andava pagato, in un modo o nell’altro. Non con il pianto, perché lui non poteva piangere, sarebbe stato troppo ipocrita da parte sua. Il prezzo da pagare era anche quello: niente pianto, e dunque niente liberazione. Che cosa c’entravano le lacrime? si era chiesto

(…)

E si era sbagliato, perché il pianto e le lacrime c’entravano davvero, e molto, con la punizione che si era imposta.

(…) ogni volta, arrivato a un certo punto doveva smettere, per non piangere: a lui non erano permesse le lacrime.

(…) quando si uccide una persona amata non si ha il permesso di piangerla. Si deve pagare.

Devastato così, solo poche parole per volta, questo brano perde molta della sua forza. Per me è una scena potente, una di quelle che vibra fin nel profondo. Lui, il protagonista, è legato all’albero dei re. Chi conosce un po’ di mitologia norrena non può non riconoscere nell’immagine presentata in quelle pagine Yggdrasil, l’albero del mondo. E i due corvi, Pensiero e Memoria, sono quelli di Odino.

Il romanzo è La strada dei re, di Guy Gavriel Kay. Il libro, l’intera Trilogia di Fionavar, è fuori catalogo, ed è un peccato perché è una delle storie più belle che io abbia mai letto. L’uomo legato all’albero è tormentato dal ricordo di un incidente d’auto che ha provocato della sua fidanzata. Odino si è fatto legare per cercare la conoscenza, il nostro protagonista cerca la morte e allo stesso tempo, incredibilmente, anche la vita. Una cosa per sé, una per chi lo circonda.

La scena è troppo bella perché io possa descriverla davvero, il mio consiglio è di cercare il libro in biblioteca e di leggerlo. Io la scrivo perché una persona me l’ha fatta venire in mente, anche se nella sua storia non c’è nessun albero e non ci sono macchine. È una cosa che faccio spesso, quando devo dire qualcosa cerco le parole in un libro. Mi viene spontaneo, non ho neppure dovuto riflettere. Non so chi sia stato il primo a dire che leggere molti libri consente al lettore di vivere molte vite, la frase l’ho letta troppe volte, in troppi contesti diversi, per essere sicura della sua paternità. Però è vera, ci permette di riflettere meglio, di esprimere quello che abbiamo dentro anche se noi da soli non troveremmo le parole per farlo, e quando vogliamo ci permette anche di mettere un filtro, di dire che in fondo l’affermazione non è nostra, ma di quel tale scrittore.

Kay ha ambientato la sua storia su Fionavar, il primo di tutti i mondi, quello di cui tutti gli altri sono uno specchio sempre più imperfetto. È un fantasy, e su quella terra camminano gli dei. E quando vogliono gli dei possono elargire doni ai mortali.

Ma con lui, questa volta, c’era anche la dea, e gli mostrava la verità. Con una fiammata finale, di assoluzione, Paul capì che se non era riuscito a passare, questo non era dovuto a un’esitazione legata a una mancanza di desiderio, a un impulso omicida o suicida, ma perché, in fin dei conti, lui era umano, e aveva semplicemente sbagliato a calcolare le distanze, a causa della sorpresa, della pioggia, del terreno viscido. Tutte cause perdonabili.

E perdonate, comprese.

Non credere di poter negare la tua mortalità, gli disse, dentro di lui, una voce simile al vento, una delle voci della dea, e Paul fu certo che glielo disse con amore. Se non sei riuscito, è perché gli uomini hanno i loro limiti. Anche questo è un dono degli dei.

(…)

Era stata davvero una fatalità. Cancellata la colpa, rimaneva solo la perdita, ma la perdita era una cosa umana, faceva parte della vita.

E alla fine, come una dolce liberazione, poté esprimere con le lacrime il suo dolore.

Le lacrime sono anche questo. Un modo per liberarsi, per esprimere il proprio dolore e per accettarlo. Non per dimenticarlo ma per fortificarsi e trovare il modo per andare avanti. E come dice Gandalf in tutt’altro contesto,

Non dirò: “Non piangete”, perché non tutte le lacrime sono un male.



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