Contrariamente a quel che ci si potrebbe aspettare, Lord of Emperors non inizia là dove era terminato Sailing to Sarantium. Nel primo romanzo della duologia The Sarantine Mosaic Guy Gavriel Kay si era soffermato sul tema del viaggio, e sui cambiamenti nella vita di Crispin provocati dall’incontro con realtà che vanno al di là della sua comprensione e con le nuove sfide che si trova ad affrontare. Ma, a meno che non si sia eremiti, nessun viaggio si compie da solo, e come cambia la vita di Crispin cambia anche quella dei suoi occasionali compagni di viaggio.
Anche Rustem, il primo personaggio che compare in Lord of Emperors, compie un viaggio, e pure la sua vita cambia in modi che non avrebbe potuto prevedere. La maggior parte dell’azione però in questo caso si svolge a Sarantium, il centro del mondo nel momento in cui è ambienata la storia, come per un certo periodo Bisanzio è stata il centro della civiltà da cui noi discendiamo. Questo è un fantasy, e lo è perché nonostante i punti di contatto Sarantium non è Byzantium e Valerius II e Alixana non sono Giustiniano e Teodora, ma anche perché, anche se ridotti, fanno parte della trama alcuni elementi che non appartengono al nostro mondo.
Gli uccelli meccanici di Zoticus, ma anche lo zubir, che qui è solo un ricordo. Ma davvero si può associare la parola solo alla parola ricordo? Per Crispin è un ricordo che definisce la sua vita, qualcosa che si sta allontanando ma da cui non può prescindere, come non può prescindere dal ricordo della moglie e delle figlie morte. Ecco, se Sailing to Sarantium è la storia di un viaggio, Lord of Emperors è un libro sui ricordi e sulla memoria.
Per la maggior parte delle persone l’unico modo per lasciare un segno di sé è nella propria discendenza, che per un certo tempo ha una memoria concreta e che, anche a distanza di generazioni, non potrebbe esistere se prima non ci fossimo stati noi.
Valerius e Alixana non hanno figli. Sarebbe stato meno ambizioso l’imperatore se avesse saputo di lasciare sulla Terra un segno del suo passaggio al di là del suo operato? Non è una domanda oziosa quella che lei gli rivolge: se loro avessero avuto figli, per lui sarebbe stato altrettanto importante far costruire quel santuario e cercare di espandere l’impero? Le figlie di Crispin sono morte. Noi non le abbiamo neppure viste dato che l’epidemia è precedente alla storia. Conosciamo la persistenza del suo dolore, con cui riesce a convivere grazie all’arte di cui è maestro.
Non è un caso che ai commenti su The Sarantine Mosaic io abbia affiancato immagini di mosaici. Queste opere le ho viste, conosco la loro forza. I nome degli artisti che le hanno eseguite sono scomparsi nel tempo, all’epoca erano ritenuti semplici artigiani e le loro identità non venivano tramandate, ma quello che questi mosaicisti sono stati capaci di realizzare ci parla ancora oggi. Noi ci ricordiamo di loro, e anche se non possiamo in alcun modo conoscerli come persone il loro operato è vivo ora come lo era allora. Ma davvero l’opera di Crispin vale più di quel che sono stati capaci di fare i personaggi intorno a lui?