Avevo iniziato a scrivere questo testo lo scorso mese di giugno, subito dopo aver terminato la mia terza lettura di Lord of Emperors. Solo che ho fatto un bel po’ di spoiler e mi sono dilungata un po’ troppo, allargando il discorso anche ad altri libri, per poter davvero usare queste parole per presentare il romanzo a qualcuno che non lo aveva mai detto, così le ho accantonate, ho scritto un altro testo e ho pubblicato quello. Senza dimenticare questo, che ho integrato e che propongo ora. Se siete interessati ho parlato (senza spoiler) dei due volumi che compongono il Sarantine Mosaic di Guy Gavriel Kay qui e qui. In questo caso invece di spoiler relativi a Lord of Emperors ce ne sono davvero tanti, quindi leggete le mie parole solo se avete già letto il romanzo o se non avete paura degli spoiler perché non intendete farlo (ma se non volete leggere il romanzo di Kay, perché dovreste voler leggere le mie parole? Il fatto di non conoscere l’inglese non è una scusa sufficiente, e ve lo dice una che l’ha imparato proprio per poter leggere questi libri. Andate a studiare se ne avete bisogno, poi a leggere Kay, e se ne avete voglia tornate pure qui).
I romanzi di Kay sono straordinariamente ricchi. Personaggi affascinanti, anche quelli che si vedono per poche pagine. Luoghi descritti in modo così vivido che sembra di conoscerli davvero, di averci vissuto e di poter camminare a piacimento nei loro sentieri. Una capacità di usare le parole, anche in prosa, che è pura poesia. E poi ci sono i temi intorno a cui ruotano le storie. Temi che ciascuno di noi può ignorare per godersi semplicemente una bella storia, se è questo che vuole, ma su cui può riflettere liberamente e scoprirsi cambiato. Avete mai letto Bruno Bettelheim?
I personaggi e gli eventi delle fiabe personificano e illustrano anche conflitti interiori, ma suggeriscono in modo estremamente sottile come questi conflitti possono essere risolti. (Il mondo incantato, pag. 30).
Questi sono romanzi e non fiabe, eppure spesso mi viene automatica l’associazione fra la narrativa, la narrativa fantasy in particolare, e le fiabe così come ne parla Bettelheim, non come le assurde storielle per bambini che molti credono che siano ma come storie che “si occupano di problemi umani universali” (pag. 11). E se le fiabe iniziano con “c’era una volta” è perché parlano al nostro inconscio, e il loro contenuto “non è legato a un particolare momento o località o sequenza di eventi definita come logica dalla nostra razionalità” (pag. 64). Le fiabe univeralizzano la storia ponendola in una realtà atemporale e Kay universalizza i suoi romanzi ponendoli in mondo inventati. Può parlare di Tigana, e i lettori del Quebec, o della Croazia, o della Polonia, sentono che sta parlando di loro (http://librolandia.wordpress.com/2012/07/18/guy-gavriel-kay-e-la-fantasy-storica/).
Le differenze, fra le fiabe e questi romanzi, sono moltissime, ma io non posso non notare certi punti di contatto, e quando questo avviene la mia reazione di solito è di parlarne, anche se non ho la pretesa di parlare di tutto. Propongo spunti di riflessione o semplifico, per i motivi più diversi. Uno è il tempo, che mi costringe a selezionare gli argomenti di cui parlare.
Sailing to Sarantium è la storia di un viaggio, e di come le vite di coloro che lo compiono vengono cambiate. Ci sono tante altre cose dentro ma, come detto, semplificare è l’unico modo per fare un discorso coerente che non sia troppo dispersivo.
Crispin era partito per il suo viaggio e lungo il cammino si erano uniti a lui Vargos, Kasia e Carullus. Un viaggio lo compie alla fine Gisel, anche se i cambiamenti che riguardano la sua vita si vedono soprattutto in Lord of Emperors, e un viaggio da cui non c’è ritorno lo ha compiuto pure Zoticus. Nel secondo volume saranno Pardos a mettersi in viaggio e Rustem, un personaggio che nel primo romanzo non c’era.
Giotto, La fuga in Egitto. Padova, Cappella degli Scrovegni
Per noi i viaggi sono relativamente semplici, le strade sono sicure, sappiamo dove stiamo andando, abbiamo la possibilità di pianificare le cose, di prendere contatti prima e di tenerci in contatto con chi abbiamo lasciato indietro, i tempi sono molto ridotti anche per grandi distanze. Per la maggior parte della storia umana però un viaggio era un’impresa rischiosa. Non si poteva davvero essere sicuri di ciò che si sarebbe trovato, né che la situazione che ci si lasciava alle spalle non sarebbe cambiata in modo significativo senza che noi ne sapessimo nulla, e ci voleva tempo. Notti per strada, sospesi in una vita che non era quella che si era lasciata né quella che ci si aspettava di condurre una volta giunti a destinazione. L’imprevisto, la sorpresa, erano sempre in agguato. Le mappe non erano precise come quelle attuali, ma al di là delle mappe come era possibile difendersi dal soprannaturale? Nella narrativa fantasy il soprannaturale c’è davvero, e le vite di Crispin, Vargos e Kasia ne sono toccate profondamente, ma un uomo del Medioevo, secondo cui il demonio era sempre pronto a tessere i suoi inganni e che era convinto che sulla Terra vivessero chissà quali strane creature, come poteva essere sicuro che sarebbe arrivato a destinazione intero nel corpo e nell’anima? Dante parla di un viaggio iniziato in una selva oscura, ché la diritta via era smarrita, e anche se poi il suo poema si sviluppa in modo allegorico, e propone una visione dell’oltretomba cristiano che lui poteva solo immaginare, parte da un mondo reale e nelle varie tappe incontra personaggi reali. La realtà si mescola a cose che non fanno parte della nostra esperienza concreta in modo così stretto che non è possibile separare i due aspetti. E se quella Commedia che il Boccaccio volle chiamare Divina è opera di un poeta straordinario, non è comunque lontana dal sentire dei contemporanei di Dante.
Il viaggio aveva influenze profonde sul corpo e anche sullo spirito, non dimentichiamo che Crispin era in lutto per la morte della moglie e delle sue figlie e che a un certo punto scopre che non è ancora pronto a morire a sua volta come per tanto tempo aveva pensato. Il suo viaggio, come quello dei suoi compagni, è fisico e spirituale perché ogni viaggio non si compie solo nello spazio ma anche nel tempo. Legato al viaggio c’è anche il tema dell’esilio. Kay ne ha parlato qui: http://whatever.scalzi.com/2013/04/04/the-big-idea-guy-gavriel-kay-2/ e forse prima o poi tradurrò qualche frase per un articolo. Davvero, non mi piacciono solo i suoi romanzi. Mi piacciono le sue riflessioni, il suo modo di vedere le cose. Sarà per questo che amo così tanto quel che scrive.
Una delle caratteristiche che mi ha reso simpatico Crispin fin dal primo istante è il fatto che è mosaicista. Durante la mia prima gita al Liceo ho potuto ammirare i mosaici di Ravenna, e non li ho più dimenticati. Una foto non rende assolutamente l’idea. Lo stesso Kay su Twitter ha scritto
You can see photos of Ravenna’s Justinian and Theodora mosaics (and others) online, but honestly? A photo of a mosaic misses … the mosaic. (27 agosto)
Teodora. Ravenna, Basilica di San Vitale
Io li avevo studiati a scuola, avevo visto le foto nei libri, ma entrare in San Vitale o nel Mausoleo di Galla Placidia è tutta un’altra cosa. E a Venezia, anni più tardi, avrei camminato nei sottotetti della Basilica di San Marco, vedendo i restauratori al lavoro, nel corso di un viaggio di studio compiuto insieme al professor Miklós Boskovits. I mosaici su di me hanno un notevole impatto, ma tornando a un discorso meno personale la scelta del lavoro del protagonista è perfetta al di là del semplice utilizzo per la trama, del suo potersi accostare ai potenti o dell’avere accesso a certi luoghi.
Il lavoro di Crispin lo pone lontano da tutti gli altri, isolato, ma capace, se solo si degna di volgere lo sguardo, di avere una visione d’insieme straordinaria di ciò che c’è sotto di lui. Vive in un altro mondo, più in alto, ma i due mondi non possono davvero essere separati. Il mondo terreno lo richiama più volte, con donne che lo attendono ai piedi del suo ponteggio o che salgono per portare il loro mondo fino a lui. E alla fine lui deve sempre tornare nel loro mondo e capire quale sia la cosa più giusta da fare.
Se Sailing to Sarantium è la storia di un viaggio perché il viaggio copre una parte consistente della trama e perché è un tema molto forte, nel successivo Lord of Emperors domina il tema della memoria. Guy Gavriel Kay vi si era già soffermato in passato, in particolare nel Paese delle due lune. In lingua originale quel romanzo si chiama Tigana, ed è il nome di una delle nazioni dell’immaginaria Penisola del Palmo.
«Se qualcosa durerà dopo di noi, sarà l’arte, come la tua. I nostri libri, la nostra musica e la Torre di Orsaria ad Avalle.»
E poco più avanti
«Si ricorderanno di noi solo per il nostro orgoglio quando non ci saremo più?»
«Può darsi», rispose Saevar. «Ma, in un modo o nell’altro, si ricorderanno di noi: lo so. Qui nella penisola, a Ygrath e a Quileia. E anche oltremare, nell’impero di Barbadior. La nostra fama resterà.»
«E resteranno i nostri figli», disse Valentin. «I più giovani. I figli che si ricordano di noi. E quelli ancora in braccio alle madri; e quando saranno abbastanza grandi per conoscere la storia della battaglia della Deisa, i nonni diranno loro che cosa è successo qui, e come eravamo prima della sconfitta. Brandin di Ygrath può distruggerci, può conquistare la nostra terra, ma non può toglierci il nome, e neppure il ricordo di quello che siamo stati.»
Sono una manciata di battute del prologo di Tigana. Quello che le due persone che stanno parlando non sanno è che Brandin di Ygrath, essendo un mago potentissimo, può togliere il ricordo di quello che sono stati, cancellare il nome, distruggere l’arte e i libri. Può fare in modo che nessuno si ricordi di Tigana e di quello che è stata. La storia del romanzo ruota intorno a questa magia, e al tentativo di cancellarla compiuto da un piccolo gruppo di persone. Ma di Tigana parlerò a breve visto che lo sto rileggendo proprio ora.
Lord of Emperors è un libro sulla memoria, sul suo potere, sui molti modi di lasciare sulla Terra una traccia del nostro passaggio. Si ricorderanno di noi? Cosa rimarrà? Per Crispin, specie dopo la morte della moglie e delle figlie, quello che rimane, che dovrebbe rimanere, è l’arte. A Ravenna possiamo ammirare numerosi mosaici risalenti al V-VI secolo dopo Cristo, e non è un caso che io pensi a questi mosaici. Nella Basilica di San Vitale sono raffigurate le due corti dell’imperatore Giustiniano e di sua moglie Teodora, i modelli a cui Kay si è ispirato per plasmare i suoi Valerius II e Alixana. Conosciamo numerose opere d’arte ancora più antiche, ma anche solo 1.500 anni sono un bell’arco di tempo e i mosaici se realizzati bene dovrebbero durare, resistere al susseguirsi degli anni. Possono esserci crolli, danneggiamenti dovuti a incendi, a terremoti, al vandalismo di un popolo invasore, a una realizzazione non perfetta e a chissà quanti altri problemi che ora non mi vengono in mente. In giugno commentando Sailing to Sarantium ho inserito una foto in cui si vede che i mosaici di una delle cupolette del nartece della Basilica di San Marco a Venezia sono stati restaurati perché stavano crollando, come stavano crollando gli stupefacenti mosaici di una cappella in Saraudia prima che Pardos li restaurasse. Venezia, con la sua umidità, non è un luogo facile dove conservare le opere d’arte.
L’arte può scomparire per semplice incuria e svanire dalla memoria. O, se ancora ammiriamo un’opera d’arte, possiamo non sapere nulla di chi l’ha realizzata, neppure il suo nome. Non sappiamo chi ha ideato e realizzato i mosaici di Ravenna, così come non conosciamo il nome di una gran quantità di artisti straordinari che sono vissuti nei secoli scorsi, perciò nel loro caso la memoria è affidata alle opere ma è monca, priva com’è persino di un nome.
Crispin pensava di lasciarlo il suo nome, e anche i volti di coloro che aveva amato, nella più straordinaria delle opere del suo tempo, il grande santuario voluto da Valerius II e progettato da Artibasos. Anche qui, non è difficile vedere Santa Sofia di Costantinopoli in quel santuario, ma quello che Kay ha scritto è un fantasy e non un romanzo storico.
Nell’impero bizantino dell’epoca la questione iconoclasta era molto forte: era consentito raffigurare la divinità o qualsiasi raffigurazione era idolatria e quindi qualcosa da eliminare? Per nostra fortuna la scelta cristiana non è stata iconoclasta, altrimenti avremmo perso una gran quantità di opere d’arte straordinarie fra quelle che sarebbero state distrutte e quelle che non sarebbero mai state realizzate. Sarantium però non è Byzantium, e se Giustiniano ha avuto modo di regnare a lungo per Petrus, Valerius II, le cose non sono andate altrettanto bene. Morto lui con Leontes le direttive religiose hanno preso una svolta differente, una che non mi piace, ma quando mai Kay ha scritto un romanzo senza darmi grandi dolori? Non sarebbe vero se non soffrissimo per le perdite che la storia ci propone, siano personaggi, sentimenti o opere d’arte. O anche perdite di qualcuno o di qualcosa che amiamo all’interno di un romanzo.
L’interno di Santa Sofia a Costantinopoli. Non ho bisogno di spiegazioni sui nomi, grazie, ho scelto di usare questi in modo assolutamente consapevole.
Crispin era già stato distrutto dalla morte della sua famiglia, ma si trattava di eventi precedenti. Quando noi lo abbiamo conosciuto lui era già stato segnato dalla pestilenza, la fase più acuta non l’abbiamo vista. Qui il colpo arriva improvviso e vorremmo gridare come Artibasos che non è giusto, che quello è un ordine che non dovrebbe mai essere impartito. Crispin si porta addosso il fardello della memoria, del ricordo delle persone che continua ad amare anche se non ci sono più, e anche dell’incontro con qualcosa di così estraneo alla realtà umana da rendere difficile anche solo il pensiero di quei momenti. E poi arriva il colpo.
Siamo abituati a pensare all’arte come a qualcosa di durevole, forse persino eterno. Non è così. Delle opere antiche spesso abbiamo solo frammenti, dèi e veneri senza braccia o gambe, i volti privi di nasi, anche se in genere gli artisti non hanno visto che ne è stato delle loro creazioni. Lo so, sono esistite anche opere effimere fin dal loro concepimento, e l’artista che le ha realizzate sapeva fin dall’inizio che sarebbero svanite nel nulla. Nel 1494 Michelangelo Buonarroti ha scolpito per Piero de’ Medici un Ercole di neve, opera che è durata almeno otto giorni prima di fare la fine che sempre fa la neve sciogliendosi. Peggio gli è andata con la scultura bronzea di Giulio II, eseguita a Bologna nell’arco di due anni e trasformata tre anni più tardi in una bombarda chiamata dispregiativamente la Giulia quando il governo della città era passato ai rivali del papa. Fra queste due opere, la prima che non poteva durare, la seconda che si è voluto far svanire, se ne colloca una terza scomparsa per troppo amore. Il cartone preparatorio dell’affresco mai eseguito della Battaglia di Cascina, realizzato in competizione con l’incompiuta e perduta Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci e definito dai contemporanei “la scuola del mondo”, è stato distrutto entro breve tempo da quegli stessi artisti che lo ammiravano così tanto da volersene portare via ciascuno un pezzetto.
Michelangelo, studio di un nudo. Firenze, Casa Buonarroti
Il cartone preparatorio, per quanto noi lo avremmo ammirato volentieri così come ammiriamo quello realizzato da Raffaello Sanzio per La scuola di Atene, nella concezione dell’epoca era solo una parte della fase progettuale, non l’opera in sé. L’Ercole lo aveva voluto un nobile signore, ma era destinato a svanire fin dalle origini. La perdita più dura, per l’artista, è stata quella della statua di Giulio II, anche se la distruzione è stata dovuta a motivi politici e non a considerazioni artistiche. Peggio è andata a Lorenzo Lotto, autore intorno al 1509 di alcuni affreschi a Roma in quelle che sarebbero poi diventate note come le Stanze Vaticane subito distrutti per lasciare spazio a Raffaello e ai suoi affreschi, questi ultimi talmente apprezzati da Giulio II da decidere di affidare i lavori solo a Raffaello licenziando tutti gli altri artisti già ingaggiati. In questo caso la distruzione è stata operata immediatamente, e solo perché le opere di un altro artista sono piaciute di più, in un periodo in cui gli artisti non erano semplici maestranze anonime ma iniziavano a essere famosi e a contare di più. Lotto, deluso dalla sua breve esperienza nella capitale, sarebbe fuggito in provincia e avrebbe eseguito opere straordinarie restando sempre lontano dai fasti delle commissioni più importanti.
Crispin, deluso dalla sorte toccata ai suoi mosaici, fugge da Sarantium per tornare nella nativa Batiara. La fama per lui è svanita, crollata a terra insieme alle tessere di mosaico e ai suoi sogni, e anche se alla fine scoprirà che la vita può continuare il suo nome come mosaicista è destinato a rimanere nell’ombra. Avremmo dovuto notarlo – eppure alla prima lettura non lo notiamo perché non lo vogliamo notare – leggendo della vita del santo Pronobius Tilliticus, il cui cammino verso la santità è stato tracciato a partire da alcune vicende legate a quello che viene definito un oscuro mosaicista. Siamo in Sailing to Sarantium quando leggiamo questa definizione di Crispin, e non vogliamo crederci. Tanto è vero che la dimentichiamo. Noi sappiamo che lui sta lavorando a un grande mosaico e siccome è il protagonista e gli vogliamo tanto bene non abbiamo dubbi sul fatto che riuscirà a realizzare un mosaico grandioso. È pure riuscito a farla in barba a tutti inserendo il paganesimo con lo zubir e un’eresia con un tramonto quando Jad sta conducendo il carro del sole dall’altro lato della volta. Non abbiamo dubbi e non abbiamo memoria, dimentichiamo che Crispin è stato definito oscuro, poco importante, e dimentichiamo o sottovalutiamo le parole di Styliane Daleina sul fatto che non dovrebbe affezionarsi troppo alla sua opera.
Nemeh d’Aleppo, San Simeone Stilita e San Simeone del monte Ammirabile, 1699, Libano, Monastero di Notre-Dame de Balamand
Di Pronobius, degli eremiti, c’è memoria ma quanto sappiamo davvero della loro vita? Spesso gli agiografi inventavano per scrivere storie di cui si sapeva ben poco, per soddisfare la curiosità popolare o quella del committente delle loro opere.
Pronobius Tilliticus non è un personaggio fatto per suscitare simpatie, abusa del suo incarico, ha un’idea esagerata della sua importanza e invece di riconoscere le sue colpe le scarica su un altro e cerca di farlo ammazzare. Noi lo conosciamo, o almeno conosciamo una parte della sua vita, molto da vicino, ma gli storici (fittizzi, ok, ma sempre storici sono) che hanno narrato la sua vita queste cose non le sanno, o scelgono di trascurarle perché non si adattano alla storia che vogliono narrare, e la memoria di Pronobius, il suo ricordo, è ben diverso dall’impressione che ne abbiamo noi. Pronobius, per gli abitanti di quelle terre dei secoli successivi, è un santo. Quale impressione avranno i posteri degli altri personaggi? Che memoria sarà rimasta di loro?
Ashar ibn Ashar in Lord of Emperors compare ben poco, per il romanzo avrebbe potuto anche non esserci e la storia non ne avrebbe sofferto. Ma i libri parlano fra loro, The Sarantine Mosaic è ambientato nello stesso mondo di The Lions of Al-Rassan, solo parecchio tempo prima, e Ashar ricopre nel suo mondo lo stesso ruolo che da noi ricopre Maometto. C’è un’altra immagine, questa volta in The Last Light of The Sun, ma ricordo solo che viene citato il defunto imperatore Valerius II. I libri parlano fra loro, e il ricordo di quello che si è letto in qualche modo si trasmette. Una memoria storica, il senso delle grandi imprese compiute dagli uomini.
Valerius, Petrus, voleva lasciare un segno indelebile nella storia, e per questo ha lavorato instancabilmente. La guerra, il fronte inquieto con la Bassania, la progettata riunificazione con la Batiara, la definizione rigorosa della fede corretta, e il grande santuario di Sarantium. Tutti progetti ai quali si è interessato il vero Giustiniano: la Persia, un decaduto Impero Romano d’Occidente, le varie eresie (e Teodora secondo la fede di Giustiniano era un’eretica), Santa Sofia. Alixana si chiede se Valerius non voglia lasciare un segno così forte nella storia, quella con la “s” maiuscola, perché la loro storia è destinata a finire visto che non hanno figli. Diversi modi di cercare l’immortalità, l’essere ricordati da qualcuno. Quanti sono, ancora ora, coloro che vogliono un figlio maschio per portare avanti il nome della famiglia? Nel caso della coppia imperiale di figli non ce n’è neppure uno, e il ricordo è affidato a degli estranei e basato su quel che si è compiuto.
Valerius non vedrà il compimento dei suoi progetti, ucciso da persone che non hanno potuto o voluto dimenticare quel che avevano subìto tanti anni prima. Il ricordo della sofferenza è ciò che ha dominato la vita di Styliane Daleina e di Lecanus Daleinus, arrivando a distruggere ogni possibilità, quanto meno per lei che ancora l’aveva, di costruirsi un futuro.
E c’è un’altra forma di distruzione, o alterazione, della memoria. Noi sappiamo quel che ci hanno detto gli storici, e spesso anche gli artisti. Dante, nel XIX canto dell’Inferno, ha trovato un posto per Bonifacio VIII fra i simoniaci anche se il papa era ancora in vita. William Shakespeare, vissuto all’epoca di Elisabetta I, ha probabilmente fatto propaganda per i Tudor tratteggiando in modo demoniaco Riccardo III di York ed esaltando al contrario il fondatore della dinastia Tudor (e nonno di Elisabetta) Enrico VII. L’operato di Giustiniano è stato esaltato da Procopio di Cesarea, che per tanto tempo era stato il segretario del generale Belisario, figura quest’ultima che ha un suo corrispettivo (non esatto, sarebbe sbagliato dire che Giustino è Valerius I, che Giustiniano è Valerius II, che Teodora è Alixana, che Belisario è Leontes e che Amalasunta è Gisel) in Leontes. Procopio nella Storia delle guerre (Guerra Persiana, libri I e II; Guerra Vandalica, libri III e IV, Guerra Gotica, libri V, VI, VII e VIII) muove qualche critica a Giustiniano ma rimane abbastanza moderato nel suo giudizio. Lo storico però ha scritto anche una Storia segreta, la cui esistenza è stata scoperta solo parecchio tempo dopo la sua morte. In essa Procopio avrebbe detto cose (reali, a suo dire) che non osava dire apertamente per paura di essere assassinato da sicari di Giustiniano e Teodora, e anche se è impossibile dire quanto ci sia di vero nelle sue parole quel che è certo è che la critica alla coppia imperiale è feroce, con Teodora dipinta come una prostituta e Giustiniano come responsabile di una quantità incredibile di mali che si sarebbero abbattuti sull’impero e sui suoi abitanti. Quanto ci possiamo fidare dei suoi resoconti, di quelli pubblici come di quello privato? Nel Sarantine Mosaic lo storico si chiama Pertennius of Eubulus, è anche lui autore di una storia pubblica e di una privata e almeno in questo caso sappiamo a quale credere. Non sappiamo, però, a quale versione crederanno gli abitanti futuri dell’impero di Sarantium.
Già che sto citando Pertennius noto solo un dettaglio. Crispin avrebbe potuto decretarne la morte denunciando il tenore dei suoi scritti privati. Non ha voluto farlo e, anche se lui non lo saprà mai, con la sua scelta Crispin ha decretato la morte di Valerius II, un uomo che ammirava oltre che colui che consegnato all’immortalità il suo nome grazie ai mosaici di Sarantium. A volte i personaggi non sanno quali saranno le conseguenze delle loro decisioni, non sono in grado di prevederle prima e non le conoscono dopo, e siamo noi che vediamo tutto dall’alto a gioire o soffire per loro.
Una ricostruzione ipotetica della basilica paleocristiana di San Pietro
Quanto dura quel che realizzano gli uomini? Valerius voleva riportare nell’impero Batiara, ma se anche Leontes lo ha fatto grazie al suo matrimonio con Gisel, tutti i progetti di Petrus sono sfumati o sono stati notevolmente modificati. Leontes ha sì mosso guerra, ma a Bassania, e se anche il santuario potrebbe durare lo farà con un aspetto molto diverso da quel che avrebbe voluto donargli lui. E per quanto l’architettura possa essere rimasta in piedi in quel momento, non è detto che le cose non possano cambiare in futuro. Anche la pietra, anche gli edifici, possono fare una brutta fine. L’antica basilica paleocristiana di San Pietro a Roma è stata distrutta per far posto a una chiesa più moderna e capiente, quella iniziata da Donato Bramante, portata avanti da Michelangelo, oltre che da un bel po’ di altri architetti, e completata negli elementi più noti dal colonnato di Gian Lorenzo Bernini. L’intervento umano a distruggere qualcosa che ora noi avremmo voluto che fosse stato preservato, magari con la nuova chiesa costruita nei paraggi e non al posto di quella vecchia. La distruzione operata in questo caso per far posto a un edificio più moderno, più spesso perché le idee politiche o religiose dei nuovi dominatori non accettano più le opere preesistenti. La statua bronzea di Giulio II, i Buddha di Mamyian, le tre statue di Taras di Megarium che si trovavano nell’ippodromo, insieme a tutte le altre.
Taras di Megarium. Davvero non credevo di potermi interessare a competizioni di carri come ho fatto con questi due romanzi. Seguo diversi sport, con più o meno intensità a seconda del mio tempo libero (anche se per certi atleti il tempo libero faccio in modo di trovarlo anche quando è molto complicato, ma stavolta vi risparmio i nomi), ma le corse di carri non mi hanno mai interessata. Sapevo che queste gare venivano disputate, ho visto anch’io quel che resta del Circo Massimo di Roma, ma come le foto dei mosaici non sono i mosaici sapere che queste gare venivano disputate non è come vederle. Kay me le ha fatte vedere. La prima gara vinta da Scortius il giorno dell’arrivo di Crispin in città e la prima vittoria di Taras sono epiche. Avete presente Roy Hobbs che batte quel fuoricampo nel film Il migliore? Lo so che il romanzo di Bernard Malamud (The Natural in lingua originale) finisce in modo diverso, l’ho letto, ma io preferisco il film e non solo perché c’è Robert Redford. Sì, forse Robert Redford ha la sua importanza, ma lasciamo stare. Le due gare narrate da Kay sono altrettanto vive, altrettanto drammatiche. Ma alla fine quello che resta sono racconti. Le statue di Taras non ci sono più, in fondo sono durate più della rosa di Alixiana ma sono sparite pure loro, e restano solo i racconti. Delicata e bellissima, e destinata a sparire.
Il migliore: Roy Hobbs riceve la nuova mazza prima di quella battuta
Ora noi abbiamo la televisione, youtube, e un’infinità di possibilità di vedere e rivedere gli atleti e le imprese che ci hanno emozionato, ma fino a non troppo tempo fa dopo che un evento era passato, era passato per sempre. Potevi rivederlo nella memoria, chi vi aveva assistito lo poteva raccontare continuamente, ma non era la stessa cosa. E quando non c’era più nessuno di coloro che vi avevano assistito restavano solo i resoconti, e la leggenda dell’impresa. E Kay ha gocato su questo, sul fatto che l’arte di Scortius e Taras, come quella della danzatrice Shirin (perché a certi livelli anche lo sport può diventare un’arte), è effimera, mentre quella di Crispin avrebbe dovuto essere permanente. È su quel condizionale passato che per lui si gioca il dramma.
Lily Kronberger
Scortius e Taras, dalla loro, hanno almeno la memoria delle statistiche, dei record che hanno stabilito, Shirin neppure quello. Per chi vivrà dopo di lei in Sarantium il suo nome potrà avere lo stesso effetto che per noi ha quello di Apelle: il rimpianto per una bellezza perduta che non conosceremo mai. E poi c’è Zoticus, che aveva cercato l’immortalità del ricordo attraverso la scienza e che aveva dovuto rassegnarsi all’anonimato nello scoprire che i tempi erano cambiati.
Quanti personaggi, quante situazioni ho citato? Non li ho contati, non li ho neppure analizzati davvero. Mi sono limitata a citarli uno dopo l’altro, a dire qualcosa di loro e ad abbandonarli. Quello della memoria è un tema importante e meriterebbe di essere trattato meglio. Magari alla prossima rilettura.