Gypsy: il Successo ad Ogni Costo

Creato il 06 marzo 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Giuseppe Floriano Bonanno

Fuori c’è una vera tormenta di neve, in un weekend dalle temperature e dalle atmosfere tipiche di una fiaba nordica, ma all’interno del Teatro EuropAuditorium il pubblico è comunque numeroso e grande è l’attesa per Gypsy, il musical ispirato alla vera storia, tratta dalla sua autobiografia A Memoir, di Gypsy Rose Lee, definita la Regina del Burlesque nell’America degli anni ’30. Nonostante il titolo, la vera protagonista del musical non è Gypsy Rose Lee, quanto piuttosto la madre, Rose, pronta a tutto pur di trasformare le sue due figlie, June e Louise, in artiste di successo in un’epoca in cui il genere vaudeville era sulla via del tramonto ed il burlesque stava per uscire dagli squallidi locali dei bassifondi dov’era relegato. Benché la prediletta sia June, alla fine sarà proprio Louise a diventare, quasi suo malgrado, una delle stelle del burlesque più acclamate negli States. Il personaggio di Rose è uno dei ruoli femminili più ambiti e prestigiosi della storia di Broadway, tanto da aver visto cimentarsi nei suoi panni grandissime interpreti quali Ethel Merman nel 1959, Angela Lansbury nell’edizione di Londra del 1973, Bernadette Peters nel revival del 2003 e Patti LuPone nel 2008. Senza dimenticare le due versioni cinematografiche: la prima, diretta da Mervyn LeRoy nel 1962, con Rosalind Russell; la seconda, datata 1993, con protagonista Bette Midler. Rose viene rappresentata come la classica “stage mother”, termine usato per definire la madre di un attore bambino, pronta a tutto, in primis a sacrificare i propri affetti, per vedere le sue figlie raggiungere il successo, figlie in cui in realtà finisce per riversare tutte le proprie frustrazioni e le intime aspirazioni che i casi della vita le hanno impedito di realizzare.

Gypsy per la sua struttura corale, per la meticolosità della riproduzione di ambienti, costumi ed atmosfere, ma soprattutto per l’approfondito studio psicologico dei personaggi è stato spesso riconosciuto come uno dei più grandi musical americani (con canzoni diventate molto popolari come Small World, Everything’s Coming up Roses, Together Wherever We Go, Some People, Let Me Entertain You, Rose’s Turn). Tra i vari critici e scrittori che se ne sono occupati è da rammentare quanto afferma Frank Rich: «Gipsy è la risposta del teatro musicale americano a Re Lear». Il personaggio di Rose, magistralmente interpretato da una Loretta Goggi semplicemente superba e in grande spolvero, qui tornata agli antichi fasti come interprete e cantante, dopo la morte del marito che l’aveva tenuta lontana dalla ribalta per diverso tempo, è infatti un duro banco di prova per chiunque per la complessità del suo ego dalle sottili sfaccettature, perennemente in lotta con la vita e con il mondo circostante, ostile e chiuso alle sue aspirazioni di successo per le figlie. Una madre forte, possessiva, che quasi costringe le figlie a perseguire una strada che più che la loro è in realtà la sua, tanto da creare in esse una sorta di rassegnazione prima e di ripulsa poi. Il successo arriverà, ma nel modo più casuale ed inaspettato, proprio quando tutto il microcosmo di Rose cade in pezzi, con gli abbandoni di June prima e di Herbert, il manager teatrale di cui è innamorata, poi.

La serata, nonostante la lunghezza dello spettacolo, corre via veloce e piacevole, dopo gli iniziali impacci, sulle divertenti note delle varie canzoni, tutte rigorosamente in italiano, come da consuetudine dei musical nostrani, che ci accompagnano lungo quindici anni di storia americana, passando dal mondo, sgangherato e stravagante, del vaudeville a quello più moderno e pruriginoso dello striptease raffinato, il burlesque, sullo sfondo di un paese in grande sofferenza per la “depressione” seguita al crollo di Wall Street del 1929. I tanti cambi di scena, l’accuratezza di costumi ed ambientazioni, la bravura dei ballerini e degli attori fanno di Gipsy un musical nel senso più ampio e pieno della parola, capace di attrarre e far sognare, lontani dagli affanni della routine quotidiana.

Gli scatti inseriti nell’articolo sono stati gentilmente concessi dal Teatro EuropAuditorium di Bologna


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