Il cellulare squilla mentre sto tornando a casa, in questa domenica mattina che, al posto dei previsti temporali, avvolge questo lembo di padania con il solito caldo umido e pesante: “Dove sei?”
“Sto tornando a casa.”
“Dovresti comprare il pane. Fermati al supermercato vicino a casa, così compri anche il prosciutto crudo, che è buono e costa meno che dalle altre parti.”
“Ok.”
Il supermercato vicino a casa è un discount. Un tempo frequentato quasi esclusivamente da extracomunitari e dai poveri dei vicini quartieri popolari, oggi vede una clientela alquanto variegata, compreso il sottoscritto e il suo nucleo familiare, che si sono financo tesserati.
Entro, mi dirigo verso il reparto del pane e scelgo una confezione di panini morbidi, vado dai salumi e arraffo tre confezioni di prosciutto crudo (che è buono e costa meno). Poi mi fermo un attimo: e se comprassi anche un melone, per accompagnare degnamente il prosciutto? Mi dirigo nel reparto frutta e comincio a tastare i meloni, come se fossi un esperto in materia, mentre invece vado completamente a caso: “questo mi sembra buono!” sussurro tra me e me, lo infilo nel sacchetto e mi avvio verso le casse.
Mi immetto nella fila più corta tra le due. La mia cassa sta smaltendo la spesa di un omone grande e grosso che ha svuotato un carrello intero sul nastro e ora fatica a rimettere tutta la spesa nelle borse. Non l’ho mai visto prima, deve essere uno di passaggio, e si vede che non è pratico di questi posti, infatti la sua spesa si è accumulata tutta sul banco, al di là della cassa. Davanti a me sta una signora anziana. La fila parallela alla mia è più lunga, ma anche più veloce.
Finalmente la cassiera riesce a smaltire la spesa dell’omone: “ Sono centoventidue euro e cinquanta.”
L’omone, arrancando e sbuffando, sospende le operazioni di sistemazione della spesa ed estrae un portafoglio bello gonfio, dal quale sfila due pezzi da cento. La cassiera li infila svelta nel rilevatore di banconote false, che dà il suo benevolo assenso al prosieguo del pagamento, e inizia a contare il resto.
In quel momento una voce amica mi giunge da dietro: “Ehilà! Stai folleggiando con gli ottanta euro del tuo amico Renzi?”
E’ Roberto.
“Tutta invidia perché il tuo amico Silvio il 40,8% dei voti se li è sempre sognati!” rispondo.
Proseguiamo a punzecchiarci a vicenda, mentre osservo distrattamente la spesa della signora anziana davanti a me: pane, latte, uova, burro, patate, qualche scatoletta, niente prosciutto crudo (anche se è buono e costa meno), ma una confezione di mortadella, di quelle in offerta speciale. Tutti generi di prima necessità.
La conosco di vista quella signora: abita nelle case popolari accanto a me; mia madre la conosceva bene.
Fa parte di quella varia umanità che popola quei brutti casermoni dove delle brutte amministrazioni comunali hanno relegato i poveri del paese. Un tempo in gran parte anziani e famiglie piene di figli, disabili, qualcuno un po’ strano; molti di loro soppiantati nel tempo da tanti stranieri. Ricordo quella mattina che ci siamo svegliati al suono di picconi, martelli e trapani: quattro o cinque volontari dei palazzi della nostra via (i palazzi dei ricchi) stavano installando una recinzione, una specie di muro di Berlino per separare il nostro territorio da quello dei poveri, che per recarsi in paese l’avevano preso per una sorta di scorciatoia. Chissà da quali tremendi attentati ci ha salvati quella recinzione…
La cassiera ha ormai finito di passare la spesa della signora e l’omone, arrancando e sbuffando, è sempre alle prese con la sistemazione delle sue provviste.
“Sedici euro e venticinque.”
La signora apre il borsellino, fruga un po’ nella borsa, fruga ancora più in profondità e poi rivolge qualche parola a bassa voce alla cassiera.
“Cosa devo stornare?” risponde quella.
E’ in momenti come questi che occorre decisione, prontezza, tempismo, efficienza, presenza di spirito (tutte cose che non si imparano nelle scuole di management, ma nella scuola della vita).
Mi chino e mi rialzo subito: “Signora, le sono caduti questi.”
La signora mi guarda stupita. Sta per aprire bocca, ma la precedo con tono fermo: “Ho visto che quando ha aperto il borsellino le sono caduti questi venti euro” e deposito la banconota accanto alla cassa.
La cassiera mi osserva, quando vedo sbucare alle mie spalle un braccio. Mi volto e vedo che è di quel berlusconiano di Roberto: “E questi sono finiti qui sotto” aggiunge, facendo scivolare un’altra banconota da venti euro accanto alla mia.
Ora la cassiera sorride, osservando i lucciconi della signora.
Nel medesimo istante l’omone, arrancando e sbuffando, si avvicina a noi, infila deciso una mano nella busta della spesa della signora ed estrae un’altra banconota da venti euro: “E questa dove la mettiamo? Ho visto che era scivolata dentro la busta. Lei ha un buco nel borsellino, signora mia!”
“Allora non storno più?” chiede in tono superfluo la cassiera.
“Ma de che!” risponde l’omone in marcato dialetto romanesco, e arrancando e sbuffando torna a sistemare il suo carrello.
La signora prende il resto, raccoglie le banconote che aveva perso, ma nessuno di noi tre la guarda: Roberto si è voltato dall’altra parte, l’omone è tornato a faticare accanto al suo carrello e io… io guardo la cassiera. Sentiamo soltanto un grazie biascicato a mezza voce, mentre si allontana.
“Certo che voi tre siete proprio una bella squadra! – dice la cassiera – Altroché la nazionale!”
Roberto mi aspetta vicino all’uscita. Passo davanti all’omone che ormai, arrancando e sbuffando, ha finito di mettere a posto la sua spesa.
Lo osservo senza proferire parola.
Lui alza lo sguardo su di me, poi su Roberto, poi stringe l’impugnatura del carrello e, arrancando e sbuffando, inizia a spingerlo verso l’uscita, sussurrando: “Ha da passa’ ‘a nuttata…”