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La coda al supermercato è una di quelle situazioni in cui si evidenzia quanto possano risultare stronze le persone anziane. Te ne stai lì nella pausa pranzo, l'unico momento in cui riesci a fare la spesa, con il tuo carrello ben rifornito, ma non strabordante, di roba che ti servirà per tutta la settimana, e dietro hai un signore con un sacchetto di pane in mano che a una prima occhiata sembra impassibile, ma che in realtà sfodera una padronanza del linguaggio del corpo da fare invidia a un prestigiatore. Sbatte il piede, si passa il sacchetto da una mano all'altra e soprattutto ti fissa senza sbattere le palpebre. Tu cerchi di ignorarlo, cerchi di essere egoista, ma senti quegli occhi premere contro la nuca. Occhi che fanno sentire in colpa perché detieni un comodissimo carrello, perché quel carrello contiene tanta roba, perché in definitiva i vecchi ne hanno passate tante e non meritano proprio di aspettare. Allora tu, sommerso da tonnellate di sensi di colpa, lo fai passare. Prego, passi pure, gli dici, e lui urla un grazie che in realtà significa "Era ora". Sei stato bravo, non sei stato egoista, ma accade che il signore trovi davanti a lui un anziano ancora più anziano. Senza sacchetti, ma con un carrello bello pieno. L'uomo del sacchetto si esibisce nuovamente nel numero del pensionato spazientito, ma l'uomo del carrello forse è mezzo cieco, o forse fa semplicemente finta di niente. Così se ne sta al suo posto, placidamente appoggiato alla maniglia con il bancomat in mano. L'uomo del sacchetto insiste, il piede batte sempre più forte, ma non c'è niente da fare, e così decide di passare alle maniere forti. Con la mano libera dà un colpo sulla spalla dell'uomo-carrello. Mi scusi, mi può far passare? Ho un po' fretta, dice con un tono concitato. Eh, ho fretta anch'io, risponde l'altro con l'autorità dell'anziano più anziano. Ho solo un sacchetto! (agitandolo come una nacchera). Ma all'altro non frega niente. Ha fretta. Tutto sembra procedere verso il classico diverbio tra pensionati, quando l'uomo-sacchetto appoggia il sacchetto a terra, si srotola le maniche e afferra le spalle dell'uomo-carrello. Quello si volta e i suoi occhi si sgranano assieme ai tuoi nel vedere le sei cifre tatuate su un avambraccio dell'uomo-sacchetto. La prego, dice, e tu non vuoi credere che l'abbia fatto apposta, ma non puoi fare a meno di farlo. L'uomo-carrello è a bocca aperta. I due denti superstiti che si ritrova non servono a nulla, te lo immagini a ingoiare pappette insipide per quel che rimane della sua vita. Passi pure, dice senza forza, come una mongolfiera che si affloscia al suolo. Passi pure anche lei, dice rivolto a te, come se non avesse più fretta, come se nulla più avesse senso. Non è un problema, rispondi. Nemmeno per me, replica, e sembra che stia insistendo. Attraverso lenti spessissime ti fissano occhi opachi, pieni di polvere. Allora si fa da parte, e mentre si sposta noti le sue braccia ancora forti, nonostante l'età. Indossa un gilet e una camicia con le maniche mezze arrotolate, che lasciano intravedere, marchiati sull'avambraccio sinistro, tre cifre. La prego, ti dice, e tu passi. Lo ringrazi. Grazie a te, risponde. Poi sorride, e chissà perché, i suoi due denti questa volta non sembrano poi così inutili.
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