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Ma oggi, negli ultimi anni, quali sono i nomi di registi italiani che creano questo corto circuito di grandiosità e bellezza? Pochi, davvero pochissimi, e a me, su due piedi, il primo nome che viene sempre in mente è quello di Nanni Moretti.
Perché Moretti lo si può amare o detestare, poco importa, ma nessuno potrà negare che è uno dei pochissimi veri autori che abbiamo avuto in questo paese negli ultimi 30 anni.
Un regista capace di creare un universo tanto preciso e personale da essere riconoscibile al primo sguardo, capace di metterci tutto, nei suoi film, faccia compresa, per parlare al mondo di se stesso ma anche di noi, delle nostre paure, delle nostre ridicolaggini e delle nostre debolezze. Moretti, tra l'altro, ha sempre avuto anche la grande capacità di essere avanti sui tempi. Io sono un autarchico era un film che prendeva per il culo certe assurdità pseudo-intellettuali degli anni '70 mentre quegli anni '70 erano in pieno svolgimento (il film è del 1978), Il Caimano raccontava con un anticipo di 5 anni la sfrontatezza, l'ignoranza e la follia di un uomo politico che la settimana scorsa abbiamo vista riprodotta comodamente sui nostri schermi televisivi all'ora del TG.
Moretti è impietoso, scomodo, esagerato, insopportabile, e indispensabile.
Ci fa ridere, certo, ma non si tira indietro nemmeno quando c'è da disperarsi. Basti pensare al dramma assoluto raccontato nella Stanza del Figlio, ma anche a quello più disperante e solitario di Sogni D'Oro (che per Zazie rimane il suo capolavoro).
Il suo nuovo film, uscito in questi giorni sugli schermi italiani (e che sarà in concorso al prossimo Festival di Cannes), aggiunge un altro importante tassello al percorso morettiano.
Habemus Papam parla di un cardinale che viene fatto Papa e al quale questo compito risulta talmente difficile e gravoso da gettarlo nello sconforto più totale. In suo aiuto, viene chiamato il più bravo psicanalista romano, il quale si trova da un momento all'altro segregato in Vaticano senza poter avere contatti con il mondo esterno, e questo fino a quando la situazione non sarà risolta. Tra un Papa in fuga e uno psicanalista costretto all'immobilità, ci sarà spazio per incontri bizzarri, partite di palla a volo tra cardinali, la scoperta del deficit d'accudimento, e la consapevolezza che, molto spesso, è difficile essere all'altezza delle nostre ispirazioni più profonde.
Habemus Papam è Moretti al suo meglio: il giusto amàlgama di ironia, situazioni serie al limite dell'assurdo, momenti semplicissimi di grande profondità, e due o tre scene che ti fanno venire voglia di metterti a ballare e di applaudire sulla sedia, per la contentezza e la consapevolezza di assistere ad un cinema fatto così. Così bene.
Michel Piccoli (c'è bisogno di dirlo?) è di un misurato e di un perfetto nella parte del Papa colto da atroce dubbio, che si potrebbe starlo a guardare da qui all'eternità, i cardinali, che dietro la loro aria seriosa nascondono nevrosi, allegrie e paure insospettabili (nonché la stoffa da grandi sportivi), sono resi a meraviglia da un gruppo di attori tutti bravissimi, Jerzy Stuhr (attore e regista polacco che ha lavorato con Kieslowski ed ora è naturalizzato italiano) ci delizia con la sua aria afflitta e paziente nella parte del portavoce del Santo Padre, e Moretti, beh, ci fa venire il dubbio che il nome ed il cognome dello psicanalista siano Michele Apicella.
E non è che la cosa ci dispiaccia. Perché come canta la canzone del film: "Cambia, Todo Cambia", ma speriamo che Moretti, almeno lui, non cambi mai.
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