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La trama (con parole mie): morto un Papa se ne fa un altro, recita il popolare detto. Così, giunto il fatidico momento, il Conclave si riunisce per votare il nuovo pontefice, e dopo alcuni giri di votazioni a vuoto, pare quasi che i favoriti per la carica - nessuno dei quali entusiasta di ricoprirla - decidano di indirizzare la scelta verso un personaggio di comodo, tranquillo e silenzioso, che possa occupare il vuoto come uno stato cuscinetto.Ma proprio nel momento della benedizione alla folla, il nuovo Papa entra in una profonda crisi depressiva rifiutandosi di comparire alla famosa finestra su Piazza San Pietro, costringendo il Vaticano a rivolgersi ad uno strizzacervelli - il migliore nel suo campo -: i pesanti limiti posti sulle domande da rivolgere al Pontefice, però, inficiano il lavoro dello stesso, che si ritrova confinato con il Conclave fino a quando il Papa si deciderà a fare la sua comparsa in pubblico.Quest'ultimo, però, non ha alcuna intenzione di rivelarsi, e fugge per le strade di Roma finendo per conoscere - lui, aspirante attore - i membri di una compagnia teatrale alle prese con Cechov.
Nonostante sia uno dei padri nostrani del radicalchicchismo, devo dire di avere sempre avuto un ottimo rapporto con Nanni Moretti.
Dai tempi dei meravigliosi Bianca e La messa è finita ho sempre considerato ottimo il lavoro del cineasta romano, passando attraverso il mitico Caro diario per giungere al recente e per il sottoscritto subito cultissimo Il caimano.
Il tutto nonostante lo scivolone a metà de La stanza del figlio, che nonostante i premi ed il successo ho sempre considerato il più ruffiano e meno interessante tra i lavori del suddetto Nanni.
La mia aspettativa, dunque, per Habemus papam era piuttosto alta, considerati i pareri letti in rete e non solo in proposito: il risultato è stato una sorta di via di mezzo in bilico tra momenti assolutamente magici - la prima dichiarazione del Papa alla moglie, anch'ella psicoanalista, dello stesso protagonista, "io sono un attore", semplicemente straordinaria - altri più leziosi - la tanto decantata sequenza della pallavolo tra gli alti prelati - ed alcuni decisamente poco incisivi - la fuga del Papa, il suo rapporto con la compagnia di teatro, per quanto valida potesse essere l'idea sulla carta -.
Il risultato è sicuramente un buon prodotto, ma decisamente al di sotto delle potenzialità che un regista di questo tipo poteva esprimere con una materia come quella fornita dalla Chiesa: in particolare, nel corso dell'intera visione, ho accarezzato con il pensiero l'idea dello stesso film girato dal Maestro assoluto del grottesco, quel Luis Bunuel cui sicuramente Moretti ha fatto riferimento in ben più di un'occasione nel corso della sua carriera cinematografica, ed il risultato, purtroppo per il Nanni nazionale, abbassa - e non di poco - la valutazione finale di quello che, senza dubbio, sarebbe potuto diventare il suo film più rivoluzionario e rappresentativo.
Per usare paragoni calcistici, si potrebbe quasi pensare che l'autore abbia preferito rifugiarsi in una melina da pareggio piuttosto che lanciarsi in un attacco che, per quanto rischioso - stiamo pur sempre parlando della più grande organizzazione pseudo criminosa della Storia dell'Umanità -, poteva significare l'ingresso in un ideale Olimpo delle produzioni italiote recenti accanto ai meravigliosi Il divo, Vincere e L'uomo che verrà.
Le idee sono presenti, in misura ampia, ed il ritratto che Moretti porta sullo schermo dell'istituzione Chiesa è chiaro ed efficace, eppure i momenti migliori della pellicola appaiono quelli in cui della stessa non vi è traccia, e lo spazio principale viene occupato dall'Uomo, dalla persona scelta per occupare una carica potentissima ed al contempo carica di aspettative schiaccianti - la sequenza del conclave, quasi fantozziana, è un colpo magico - proprio quando una sorta di emancipazione dai propri compiti e dalla vita prende la forma dei sogni mai realizzati in gioventù, di un passato che pare quasi il futuro.
Interprete d'eccezione di questa sensazione di smarrimento e ricerca è Michel Piccoli, grandissimo personaggio che ha fatto epoca nel Cinema d'autore europeo e che anche in questo caso non tradisce le attese, riuscendo a convincere anche un ruvido bottigliatore come il sottoscritto facendolo addirittura passare oltre sue prove passate assolutamente irritanti come quella fornita con il borioso Belle toujours dell'altrettanto borioso Manoel De Oliveira: il vecchio ed appena eletto pontefice, in bilico tra depressione ed ansia, nella sua fuga e nel ricordo dei tempi in cui fu respinto dall'Accademia perchè attore dal talento non abbastanza spiccato è lo specchio di un Uomo che non trova una sua dimensione nell'annosa questione religiosa, e che nell'ottima chiusura afferma la sua incapacità di porsi a simbolo ed interprete di qualcosa che, obiettivamente, per Moretti, è in dubbio quanto per il sottoscritto, ed in un certo senso riprende il discorso - pur se con minore efficacia - del già citato La messa è finita, riuscendo anche a giustificare una minore intensità nel proporsi legata all'età e ad una crescita che difficilmente possiamo fermare, di quelle che ci rendono vulnerabili anno dopo anno rispetto all'idea di confrontarci con il grande salto.
Una sorta di tacito accordo a non esagerare, perchè non si sa mai cosa potremmo trovare.
MrFord
"Cerco un centro di gravità permanente
che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
avrei bisogno di..."
Franco Battiato - "Centro di gravità permanente" -
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