Moretti che fa un film sul papa? Sinceramente all'inizio l'unica immagine che mi veniva in mente era la seguente:
Una premessa decisamente affascinante, ma è forse troppo poco per trasformarla in un film in cui non succede assolutamente nient’altro.
Il motivo per cui la trama del nuovo film di Nanni Moretti è rimasta top-secret fino al giorno della presentazione alla stampa è che probabilmente lo stesso regista l’ha decisa in fase di montaggio.
Moretti sfoggia quella presunzione intellettuale che negli anni l’ha fatto tanto amare e odiare da critica e pubblico e riesce a realizzare un film con una sceneggiatura praticamente inesistente, che procede praticamente per improvvisazioni, o questa è l’idea finale.
L’unica categoria che ha diritto di sentirsi offesa è quella degli sceneggiatori: quanti di loro vedono rifiutarsi quotidianamente i loro progetti per mancanza di fondi o di fiducia mentre Moretti può predisporre dei finanziamenti che vuole, anche esteri (fra i produttori molte società ed emittenti francesi) e addirittura ricostruire a Cinecittà il Vaticano per soddisfare una sua idea trasformata poi grazie agli sceneggiatori Francesco Piccolo e Federica Pontremoli in un film che sa troppo di brodo allungato.
Questa del resto è la tristissima situazione del cinema italiano, in cui pochissimi hanno questi privilegi: o si tratta di operazioni ultra commerciali alla Manuale d’amore 3 o il prequel di Amici miei o è il caso di alcuni incensatissimi Autori, vedasi Moretti e Sorrentino, che grazie a una Palma nel curriculum possono soddisfare ogni ambizione, anche quella più capricciosa.
Fatta questa promessa, bisogna riconoscere a Moretti che anche questa sua ultima provocazione è gradita e riuscita e lo conferma come uno dei pochi italiani che attualmente si merita l’aurea di “Autore”.
Gli si può criticare il fatto che l’affascinantissimo e coraggioso confronto tra fede e psicanalisi è purtroppo appena accennato e risolto con qualche battuta di spirito. Con qualche situazione comica vengono liquidate anche le questioni religiose o la fascinazione del teatro, altro temi purtroppo solo abbozzati. Rimane insomma più volte l’amaro in bocca per dei forti potenziali che sembrano sfruttati male (vedasi il doppio incontro con l’analista Margherita Buy e quello con la troupe teatrale). Forse però l’unica cosa che conta è raccontare lo smarrimento di un individuo alle prese con una responsabilità troppo grossa per lui. A tale scopo poteva scegliere qualsiasi professione di responsabilità e prestigio, ma concentrarsi su una figura dalla quale dipende un miliardo di persone ha una portata del tutto diversa, paradossale direi.
Non c’è paradosso maggior di un papa che sente la propria chiamata non come un dono ma come un peso troppo grosso.
È un’inadeguatezza impensabile che trascende e simboleggia l’umano disagio di fronte a un mondo che si fa sempre più minaccioso, sconosciuto e grande nonostante la tecnica ci voglia far illudere che sia tutt’altro grazie a una miriade di prodotti hi-tech.
In fondo Habemus Papam è una favola, totalmente improbabile e volutamente immaginaria che come vuole la tradizione ha un protagonista prestigioso: in ciò non vi è nulla di scandaloso o blasfemo.
VOTO: 7