L’ormai acclarato e ufficiale raggiungimento del quorum (con soglie vicine al 57% e percentuali abbondantemente sopra il 95% per il sì) nei quattro quesiti referendari della consultazione del 12 e 13 giugno, lancia una lunga serie di riflessioni sull’attuale situazione politica e sociale italiana, arrivata adesso a un cruciale momento di svolta, al di là qualsivoglia dichiarazione e indipendentemente da ogni ambito o fazione si appartenga o ci si senta vicini.
Innanzitutto sarebbe ora di rivedere e mettere da parte l’attuale Legge 352/1970 che determina come fattore irrinunciabile alla validità del referendum abrogativo, il raggiungimento del quorum del 50%, validando cioè in pratica l’astensionismo come una scelta, senza considerare gli effetti negativi che ha sull’economia e soprattutto sull’educazione civica dei propri cittadini, per i quali il voto è sì un diritto, ma anche un dovere, il dovere di avere voce nelle decisioni che riguardano tutti. Negli ultimi vent’anni è questa la prima volta che si raggiunge questo obbiettivo, che consente fra l’altro allo Stato di non gettare al vento i 300 milioni spesi per il voto.
É una vittoria anche dei nuovi media, di internet soprattutto, che ha fatto pressante campagna per il voto, a differenza di quanto non avvenuto in televisioni e nei giornali, dove dei referendum si è parlato poco o nulla.
Scongiurata anche la penosa furbizia di non accorpare il referendum alle amministrative che si sono svolte in tutta Italia, una scelta talmente infelice e disonesta che non merita ulteriori commenti.
La schiacciante vittoria del comitato referendario e del sì, per la prima volta forse mai così organizzato per spingere al voto con ogni mezzo e aiuto (bus, navette, taxi), inoltre – è inevitabile – fornisce per la seconda volta in poche settimane il quadro di quanto l’attuale Governo e l’attuale maggioranza parlamentare non riflettano più minimamente lo stato reale del Paese e sono finite in assoluta minoranza. L’unica cosa che ormai resta a questo Governo è quella di far sfilare i carri armati per mantenere il Potere, perché è evidente che adesso non ha nessuna credibilità e nessun appoggio e consenso popolare per continuare a governare.
Il quarto quesito, quello sul legittimo impedimento, era di matrice nettamente politica e anti-berlusconiana, ed è dalla riflessione conseguente che il Premier avrebbe il dovere di rimettere il proprio mandato al Presidente della Repubblica.
Questo avverrebbe in condizioni normali di democrazia e con un Premier consapevole e politicamente corretto, qualità che sono quanto di più lontane da Silvio Berlusconi.
Arrivare al 2013 con questa maggioranza (che non è più maggioranza) sarebbe un disastro non solo per il Paese, ma per lui stesso, che non avrebbe più appigli ai quali fare conto. La sua fine politica è ormai alle porte, basterebbe un po’ d’unità fra gli oppositori per vederla compiuta.
Ed è questa l’utopia più grande del momento, anche se dopo questo miracolo referendario, nulla sembra più impossibile come prima.