Il laboratorio di cui parlo oggi è in realtà avvenuto lo scorso 24 aprile 2010 ad Hackney, Londra (UK), ed nato dalla mia volontà di giocare con altre persone - con il disegno, la memoria, il dialogo e la percezione di un luogo urbano - nel quartiere in cui vivevo, un'area del nord-est della città caratterizzata dalla presenza di immigrati di diverse origini culturali o religioni differenti . Tali comunità sono in realtà relativamente separate tra loro in aree diverse, all'interno dello stesso quartiere, in base alla distanza dal centro della città (la cosiddetta 'city') così che alla fine ciascuna specifica identità culturale abita questo triangolo/porzione di corona circolare delimitata a ovest dal quartiere invero più fashio di Islington e a est l'area più depressa ma anche modaiola di Tower Hamlets. In mezzo a tali presenze, che annoverano pachistani e indiani, così come africani di origine caraibica e infine - nella zona più a nord - ebrei ortodossi, si muove tutta la fauna di giovani bohemien, artisti (veri o presunti), studenti, e via dicendo. Fino a pochi anni fa terra di nessuno in mano a bande di ragazzini e ad alta densità criminale, il quartiere è ora stato rivalutato da generose ristrutturazioni, recuperi di spazi industriali, e rivalorizzazioni di aree caratteristiche con l'incremento di attività commerciale (cfr. il Broadway Market, mirabile esempio di efficace invenzione di tradizione).Hackney ospitava in quel periodo, ed è il luogo ove si svolse il laboratorio, anche un centro occupato/sociale di ispirazione libertaria, dove le persone che lo desideravano potevano recarsi e chiedere la disponibilità dello spazio per realizzare una qualche attività gratuita per la gente della zona.Nei primi tempi in cui ero a Londra, così come ho scritto in altri post, contattai Captain Mapp, che aveva già una lunga esperienza di conduzione di laboratori quali quello che mi accingevo a proporre. L'idea era realizzare una giornata/pomeriggio di incontro, suddiviso in due momenti con una pausa in mezzo, nel quale portare i partecipanti - che in qualche modo avevano qualcosa a che fare con il quartiere o perché vi vivevano, o perché vi si recavano per lavoro, o ancora perché lo attraversavano per qualche ragione nella loro vita quotidiana - a disegnare prima una mappa di come percepivano affettivamente il luogo, e quali ne fossero i luoghi simbolici dal loro personale punto di vista - e poi a disegnare tutti insieme una mappa collettiva del quartiere.Captain Mapp fu subito entusiasta dell'ipotesi e così decidemmo di svilupparla insieme, preparandone l'articolazione in un pomeriggio, realizzando i flyers (dove lui li disegnò e impostò graficamente, mentre io ne scrissi i testi e inventai il nome del progetto Un/Common Places) e la promozione relativa.
I ragazzi del centro occupato di Mare Street (quello era il luogo che ci avrebbe ospitato) ci diedero un aiuto enorme, volantinando e attacchinando i flyers ovunque - pure su una pubblicità che riecheggiata il concetto di mappe, ma che essendo un'azione istituzionalizzata e pubblicitaria, poco aveva a che fare con il senso profondo del nostro gioco, invero molto serio, sulla memoria, il luogo e l'identità.Il giorno del lavoratorio io e Chris (il capitano!) mangiammo qualcosa insieme fuori dal centro occupato, poi aspettammo l'arrivo dei partecipanti. Quando fummo una ventina di persone, nell'area antistante il bar del centro, iniziammo il lavoro, spiegando in pochi minuti la nostra proposta e le ragioni di desiderio di conoscenza e di condivisione delle percezioni del luogo che vi stavano dietro. Decidemmo di cominciare con un gioco, consistente nello scrivere su pezzetti di carta, tre posti specifici simbolici di qualcosa - nel bene o nel male - per ciascuno di noi all'interno del quartiere. Raccogliemmo i foglietti e ne raggruppammo secondo i luoghi comuni indicati, chiedendo chi li avesse scritti. Persone diverse per genere, età, provenienze riconobbero che in alcuni casi indicarono lo stesso posto. Cominciammo a chiedere le ragioni di tale scelta e i legittimi autori le spiegarono. Il ghiaccio era rotto.