Il romanzo Hagiva (La collina) di Assaf Gavron è uscito il 1 gennaio 2014 ad Israele: riguarda la realtà degli insediamenti illegali in Cisgiordania (le colonie) e balza subito agli onori della cronaca per l'entità delle vendite e per l'approfondimento con cui tratta un argomento radicato e attuale, molto scomodo, relativo alla convivenza tra Israeliani e Palestinesi. Questione storica che fa convivere nelle stesse terre popoli Arabi ed Israeliani, in una lotta strenua e con brevi patteggiamenti che stabiliscono i confini.
Hagiva è ambientato a Tel Aviv; qui lo scrittore, mentre se ne sta a consumare un panino alla cotoletta con contorno di patatine fritte, allude ad una realtà che è a poche decine di chilometri dal bar in cui siede, ma profondamente diversa per ideologia, storia e cultura dall'atmosfera che si respira a Tel Aviv. Stiamo parlando degli insediamenti illegali in Cisgiordania, cioè di quella parte al di qua del Giordano, terra senza sbocco sul mare sulla riva occidentale del fiume Giordano, nel Vicino Oriente. Come tutti sanno, fa parte, assieme alla Striscia di Gaza dei " Territori palestinesi", quindi arabi. Dal 1967, a seguito della guerra dei sei giorni, gran parte del territorio è sotto occupazione militare israeliana, benché sia interamente rivendicata dallo Stato di Palestina. La questione è complessa, per questo brevemente l'ho sintetizzata; ebbene Hagiva tratta proprio del problema delle colonie israeliane in Cisgiordania e si sposta l'attenzione su di un insediamento chiamato con nome fittizio Ma'aleh Hermesh C.
Hagiva: la critica e la verità sono dalla sua parte
In una settimana Hagiva ha venduto migliaia di copie, riscuotendo un enorme successo di critica. Elogiato dai quotidiani come il "grande romanzo israeliano" fa concorrenza a nomi famosi e finora intoccabili per prestigio indiscusso: Grossman. Oz, Yehoshua, tutti di sinistra e tutti colossi della letteratura israeliana e mondiale. Rispetto ad essi la nuova generazione, che il quarantaduenne Gavron rappresenta, scrive un ebraico più libero, meno accademico, più slang, vicino al linguaggio dei giovani, abbracciando le tematiche dello stato ebraico dalle colonie ai kibbutz. Il giovane autore al suo secondo romanzo (il primo è La mia storia, la tua storia, in cui si parla degli attentati suicidi) si confronta ancora con situazioni estreme e lo fa con una visualizzazione dall'esterno, con il preciso intento di far parlare la complessità della vita, che si esprime a tutti i livelli, ma specie in una realtà quale quella della questione palestinese. Il tutto astenendosi da giudizi e facendo parlare la realtà dei fatti, con gusto veristico, benché sia chiara a tutti la sua posizione politica di sinistra e la condanna degli insediamenti. Aspettiamo la traduzione in italiano e ci auguriamo davvero che possa competere come sembra, con i colossi della letteratura israeliana.