Intanto perché il sangue del cordone ombelicale? A cosa serve?
Il sangue cordonale è ricchissimo di cellule staminali emopoietiche, cioè popolazioni di cellule che possono evolvere e trasformarsi in globuli rossi, globuli bianchi o piastrine. Risulta chiaro come queste cellule possano rivelarsi utili per trapianti, nel caso di soggetti con midollo osseo non funzionante, vuoi per malattia, vuoi in seguito a radioterapia.
Questo tipo particolare di cellule può essere utilizzato sia dallo stesso soggetto donatore (trapianto autologo), sia da un soggetto ricevente diverso dal donatore (trapianto allogenico). E mentre nel secondo caso l’utilità della terapia appare chiara, nel caso di trapianto autologo la comunità scientifica si sta interrogando per capire se ha senso trattare un soggetto “malato” col proprio sangue, che a logica dovrebbe essere altrettanto “malato”. E’ stata però confermata l’utilità del trapianto verso familiari del donatore (facciamo il caso di un soggetto leucemico cui viene trapiantato il sangue cordonale del fratello).
Pertanto le tre strade che il Ministero della Salute prevede ed approva sono:
- donazione a fini solidaristici
- conservazione per fine dedicato (cioè se al momento del parto sono già presenti soggetti in famiglia che ne necessitano l’uso)
- conservazione per uso personale all’estero.
Con un post congiunto, partendo da quella domanda Mamma C ed io vorremmo raccontarvi le nostre diverse scelte. Non per insegnare niente a nessuno. Semplicemente vorremmo smuovere un po’ le coscienze e tra l’acquisto di un vestitino e la scelta del nome (cosa difficile, peraltro, non è mica uno scherzo!!), magari spingere ad un pensiero in più. Per domani. Per noi o per altri.
La donazione (Mamma C)
E’ nato tutto da una domanda di Ruben: “Ma hai pensato cosa fare del cordone?”. Mi ha toccato qualcosa dentro, qualcosa che per la prima gravidanza probabilmente stava germinando, ma chiusa nell’egoismo del godermi la magia di una nuova vita che mi cresceva dentro, non ho dato ascolto a quella vocina, preferendole carillon e Bach. A questo giro, però, come ho già detto, l’incanto è svanito, tutto è già stato vissuto, almeno spannometricamente, per cui il tempo di guardare al di fuori del “mio” mondo ce l’ho.
E sporgendomi ho visto che qualcosa si può fare. Qualcosa che a me non pesa, ma che per qualcun altro può significare la vita. A questo giro voglio assolutamente donare il sangue cordonale. Ho preso contatto con una associazione che si occupa della raccolta, che per altro ha la sede proprio nell’ospedale in cui ho deciso di partorire. L’adesione è gratuita e comporta da parte mia solo la compilazione di moduli di consenso informato, da consegnare al momento del travaglio. Funziona così: con alcune rigide regole di esclusione (portatori di malattie infettive, febbre durante il parto, rottura delle acque più di 12 ore prima del parto, etc), loro si occupano della raccolta e del congelamento del campione. A distanza di nove mesi si viene ricontattati, in modo da capire se il bimbo donatore è sano o ha sviluppato qualche malattia che ostacolerebbe la donazione. Come mi suggeriva Sibia, qualcuno muove obiezioni interessanti, la UPPA ad esempio il rischio per il neonato di andare incontro a carenza di ferro. Per quel che ho visto, in realtà, appena viene espulso il bimbo, l’equipe “clampa” (cioè pizzica, chiude) i vasi cordonali, non consentendo il deflusso del sangue verso il neonato, per cui sarebbe comunque sangue non utilizzato. In più, da quel che ricordo di anatomia, oltre al midollo osseo, nei neonati altri organi producono globuli rossi, per cui tutto questo rischio non mi pare così concreto e comunque ho deciso che si può correre. Spero con l’allattamento di compensare eventuali carenze, tanto alla dimissione ricordo che ci bombardano di integratori..
Perché non la conservazione? Sarò onesta: non pensare che questo sangue potrebbe essere utile a Viola o Matteo è un modo per esorcizzare la paura della malattia. In più lo devo dire: ho talmente fiducia nella ricerca, che credo che a breve si riuscirà a sintetizzarle, queste benedette staminali, una fiducia o una speranza, non so separare le due cose. E nel frattempo, mi auguro che aumenti il numero di quelle mamme che un pensiero, almeno un fugace pensiero alla donazione lo faranno.
La conservazione (Ruben)
Ci sono state tappe, domande, sensazioni diverse e difficili in questa seconda
gravidanza dal giorno della prima ecografia in cui abbiamo scoperto che un’altra
vita si univa alla nostra famiglia. Inizialmente abbiamo pensato se procedere
agli esami diagnostici (abbiamo sempre pensato che crescere un figlio con
problemi avrebbe tolto molto a Edo e poi bisogna essere persone coraggiose,
dentro e fuori). All’inizio ero d’accordo nel fare questi esami, ma mi ricordo
la sensazione uscendo dalla ginecologa dopo l’ecografia: avevo visto mio figlio,
l’avevo visto bene, non era ancora un cucciolo d’uomo, ma si stava formando,
stava crescendo: era mio figlio. Quella sera ho dormito poco pensando a
un’eventuale scelta e lì ho capito che non sarei stato in grado di farla quella
scelta. La mia prima fortuna: avere al fianco una donna che ha capito questi
miei pensieri e dubbi. La mia seconda: tutti i controlli possibili, tutte le
misure effettuate hanno dato basse probabilità di eventuali patologie, ma so
benissimo che questi dati hanno valori solo statistici, ma noi la scelta
l’avevamo già fatta.
I progressi nel mondo scientifico viaggiano veloci e dopo che la donazione del
sangue con Edo non era andato a buon fine (è nato nell’week-end e non erano
attrezzati oltre ai problemi che ci sono stati, intervento d’urgenza, come si
dice è stato preso per il capelli), ci siamo chiesti se per questo nuovo arrivo
la scienza ci poteva dare una mano. Ne abbiamo parlato anche con la ginecologa,
ne abbiamo parlato a casa e la decisione è stata quasi immediata: non solo per
il bimbo che a breve allieterà le nostre notti, ma anche per Edo perché quelle
cellule conservate nel cordone ombelicale sono considerate le migliori cellule
staminali: sicure da prelevare (nessun pericolo per la mamma e il bimbo) e
compatibili al 100% con il bimbo e fino al 50% con i familiari consanguinei.
Ma soprattutto è un’occasione unica, quelle cellule sono uniche.
I passi che abbiamo iniziato a fare sono pochi. Ho contattato una società (ci
siamo fidati del consiglio della ginecologa), mi sono fatto spiegare bene tutto
l’iter, i passi da seguire e adesso siamo in attesa del kit per la raccolta del sangue. Una volta ricevuto a casa lo metteremo nel borsone da portarci dietro il giorno del parto e la raccolta sarà effettuata dall’ostetrica o dalla ginecologa a parto avvenuto e poi quella piccola parte del nostro bimbo, se sufficiente (speriamo), verrà conservata in un paese dell’UE, nel nostro caso in Germania.
Non ho scritto di soldi (anche quello comunque è un aspetto da considerare), ma
vi ho raccontato la nostra scelta etica di avere una possibilità in più nel caso
la vita ci metta davanti ostacoli e paletti che la stessa scienza non sarebbe in
grado di superare. Purtroppo nella mia vita ho già avuto modo di scontrami con
questi ostacoli uscendone sempre sconfitto, ma se c’è questa possibilità anche
se dovesse essere una sola piccola, piccolissima possibilità di utilizzare le
cellule staminali raccolte durante il parto, be’ quella possibilità abbiamo
deciso di tenercela stretta per il futuro dei nostri figli.
Da leggere ascoltando Skunk Anansie in “You Saved Me”