Sul pavimento in cotto della piccola cappella, davanti all'altare, sono stese in ordine 4 bare, a formare una croce.Niente casse di mogano con crocefissi e maniglie in ottone, qui per degna sepoltura si intende una scatola di cartone messa insieme con lo scotch trasparente che da noi si usa per fare i traslochi. Dovrebbe reggere, i bambini che ci sono stesi dentro, avvolti in un lenzuolo bianco, pesano poco.
Sono le 7, il sole comincia a farsi caldo e come ogni mattina padre Rick celebra la messa nella chiesa dell'ospedale pediatrico St. Damien, a pochi passi dalle corsie di degenza da cui si sentono le urla dei bambini appena nati. Come ogni mattina la cerimonia funge anche da funerale per chi, il giorno prima, ha lasciato l'isola senza solcare il mare.Dopo pochi minuti qui dentro, nonostante le finestre siano tutte aperte, bruciano gli occhi e mi sale un groppo in gola. Qui abusano con l'incenso, fa comodo dare la colpa a quello.I volontari e alcuni ragazzi che abitano qui siedono sulle panche di legno appoggiate alle pareti. Quando c'è tanta gente non ci si formalizza e va bene sedersi a terra o dietro all'altare. Le pesanti vetrate laterali ritraggono santi cristiani di mille colori e il soffitto è affrescato con un blu cielo da cui fanno capolino le facce degli angeli.
Richard Frechette è un sacerdote americano, originario del Connecticut, ordinato nel 1979 al monastero dei passionisti di New York. Ad un certo punto della sua vita si trasferisce ad Haiti e fonda un orfanotrofio a Kenscoff, un paese in collina a circa un'ora dalla capitale.Rick è un medico in prima linea americano, da 28 anni impegnato a tempo pieno su quest'isola caraibica dimenticata da Dio. Un paradiso terrestre dove, senza che nessuno toccasse una mela, anni fa si è scagliato uno dei più potenti terremoti della storia, lasciandosi alle spalle morte e disperazione.Rick e Richard, il prete e il medico, il pio religioso e il dottore instancabile, si capisce, sono la stessa persona. L'abito talare, con quella stuoia verde che scende ai lati del collo, sembra un errore del costumista addosso a questo muscoloso padre americano, maratoneta, che ama girare per le vie di Port-au-Prince con magliette verde mimetico, gli scarponcini pesanti e uno zaino in spalla come se fosse sempre sul punto di attaccare una vetta himalayana. Del resto se non sei una specie di Rambo, quaggiù dove tutto rischia sempre di andare a rotoli per un nonnulla, è difficile che combini qualcosa. E padre Rick, a quel che si dice, di cose per Haiti ne ha fatte parecchie.Nell'ora triste e preoccupata in cui tutti i viaggiatori occidentali girano dentro macchine con i vetri oscurati e non fanno neanche pochi passi fuori dal riparo dei loro compound con filo spinato e guardia con fucile, lui percorre i quartieri più malfamati con una sorta di quad aperto su tutti i lati, il sorriso sulle labbra, gli occhiali da sole dal taglio fuori moda e la voce profonda, per andare a prendersi cura di chi è più bisognoso. Ieri, nel suo ufficio accogliente di fianco alla reception dell'ospedale, dove si può sempre contare su una tazza di buon caffè caldo, se ne stava svaccato su una poltrona marrone a raccontare di quando è andato con una coppia di haitiani ad incontrare Papa Francesco. A Philadelphia, qualche settimana fa. Marino non l'avevano invitato, lui si.
La messa è finita, andate in pace. Sul finire dell'ultimo canto alcuni dei presenti prendono sotto il braccio le bare di cartone e si dirigono fuori dalla chiesa, dove le caricano sul cassone di un camion scalcinato, prete e assistenti compresi, per portarle al campo santo. Sul muro di fronte c'è una riproduzione dell'ultima cena, ben più colorata dell'originale. L'ha fatta fare padre Rick a un artista locale, che, non conoscendo il quadro, ha preso ispirazione dal Codice da Vinci. Il risultato è che a destra di Gesù siede una donna dai lineamenti gentili a cui qualcuno, per porre un tardivo rimedio, ha disegnato un paio di folti baffi marroni. C'è sempre qualcosa di cui sorridere, anche in questo angolo di tropici.
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