Bertrand ha 22 anni, fa l'ultimo anno di liceo e aspetta seduto su una panchina di legno fuori dalla sala visite dove sono più o meno sistemato con un ecocardiografo preso in prestito dal mio ospedale di Milano per venire fin quaggiù. Sul coperchio troneggia un cartello in Times New Roman: "questo apparecchio non può uscire dalla terapia intensiva". Vederlo qui, sullo sfondo di questi letti un po' consunti, con le flebo appese come si può e i parenti sdraiati a terra, fa l'effetto del nano da giardino di Amelie Poulard, che nel film scappava di casa per farsi ritrarre davanti ai più famosi monumenti del mondo.
Quando arriva il suo turno, quello dell'ultimo paziente della giornata, sono le cinque e un quarto di sera, le zanzare escono puntualmente di casa per cena e tutto intorno si fa improvvisamente buio, soprattutto in questa stanza dove non ci sono lampadine e l'unica luce artificiale viene da un monitor su cui scorrono le immagini del cuore in varie posizioni. Bertrand parla un buon inglese, inserisce lui stesso il suo nome nella macchina per paura che io non lo scriva giusto e dice che da grande vorrebbe fare il dottore. Anche se è difficile, mi spiega, dato che i test di selezione sono abbastanza duri e gli studi troppo costosi.È venuto qui in ospedale per fare questo esame direttamente dopo la scuola. Ha ancora addosso la camicia azzurra un po' sciupata con lo stemma de liceo che mi mostra orgoglioso, un paio di cuffie per sentire la musica e lo zaino pieno di libri sottolineati a matita.Si spoglia prima di salire sul lettino, ha la canottiera piena di buchi e gli addominali scolpiti.Bertrand ha uno dei cuori più grandi che mi sia mai capitato di vedere. Purtroppo si parla di anatomia, non di buoni sentimenti. Il ventricolo sinistro, una volta riempito, contiene più sangue di una lattina di coca cola. Il problema è nelle valvole, quegli strani congegni che dovrebbero garantire al sangue di non sbagliare strada e procedere dritto in avanti, senza voltarsi mai. La malattia di questo ragazzino magro e simpatico, con i denti bianchissimi e le suole lisce delle scarpe da ginnastica, si chiama cardite reumatica. Nei nostri paesi non va più di moda, soppiantata dalla disponibilità di antibiotici a basso costo e dal miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, ma nei paesi del terzo e quarto mondo miete migliaia di vittime innocenti ed è la prima causa di morte cardiovascolare. Si parla di bambini e giovani adulti, tanto per capirci. Una volta arrivati a questo stadio di malattia, oltre a una manciata di pastiglie al giorno, l'unica cosa che resta da fare è aprire il torace in due, incidere il cuore e sostituire le valvole difettose con due protesi. Facile come una bella nevicata, in questo angolo di mondo. L'alternativa è lo scompenso cardiaco, le notti fuori dal letto perché non si respira più, l'edema polmonare in un bel giorno di primavera che ti coglie, fatale, mentre stai camminando verso il mercato a comprare la canna da zucchero.Chi glielo dice ora a Bertrand che probabilmente non arriva neanche al II anno della laurea in medicina?
Abbandoniamo l'ospedale sul solito van grigio che ci riporta in guesthouse, dal finestrino vedo un ragazzino con la camicia azzurra che cammina al lato della strada, ha le mani in tasca. Lo saluto con la mano, ma non mi vede. Impossibile dire cosa pensi, mente guarda avanti verso l'orizzonte infuocato di questo ennesimo tramonto caraibico.
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