
Un bambino su dieci ad Haiti lavora. E piccoli lavoratori, in base a dati raccolti dall’Organizzazione internazionale del Lavoro,agenzia ONU, raggiungono la cifra di almeno 225 mila.
In prevalenza i minori,impiegati in attività lavorative, sono soprattutto le bambine di età compresa tra i 5 e i 17 anni.
Queste bambine come i bambini prendono in lingua creola l’appellativo di “restavek”, che significa letteralmente “che sta con..”.
Un tempo questa consuetudine, che riguardava le bambine e i bambini delle campagne,i quali andavano a servizio presso i loro parenti in città nella speranza di poter avere, più avanti nel tempo, un’esistenza migliore, non destava eccessive preoccupazioni.
La società era più semplice e i pericoli decisamente minori.
Oggi non è più così. Il tessuto sociale si è deteriorato giorno dopo giorno anche nell’isola.
Quelli, maschi o femmine, che vanno a servizio presso le famiglie un po’ più benestanti sono, ad esempio, costretti a lavorare anche fino a quattordici ore al giorno e soggetti ad ogni forma di maltrattamento.
Per le bambine e le adolescenti non è difficile inoltre immaginare il genere di violenza in cui possono incappare da parte di padroni libidinosi e senza scrupoli.
Le condizioni economiche ancora difficilissime del dopo-terremoto, quello che colpì e distrusse in buona parte l’isola nel 2010, concorrono a mettere in piedi, attualmente, e grazie ad intermediari molto avidi, che ne hanno fatto un “mestiere”, un autentico traffico di schiavi.
Pertanto l’Organizzazione internazionale del Lavoro , ha lanciato a livello mondiale, in questi giorni, una campagna di sensibilizzazione per tentare di arginare il terribile fenomeno.
Anche l’Africa, comunque, e nello specifico di alcune realtà in particolare, non ne è esente.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)

