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Hajimari no fuukei (始まりの風景, Sceneries of New Beginnings)

Creato il 10 febbraio 2014 da Makoto @makotoster
Hajimari no fuukei (始まりの風景, Sceneries of New Beginnings) 
Hajimari no fuukei (始まりの風景, Sceneries of New Beginnings). Regia, sceneggiatura, montaggio e produzione: Shinohara Atsushi. Fotografia: Yokoyama Masaaki. Arakawa Shingo. Musica: Yamane Miwako. Interpreti:  Hirosawa Sō, Shinohara Atsushi, Mitsumizo Kōji, Serizawa Tateto. Durata: 73 minuti. Anno: 2013
Link: Leonardo Lardieri (Sentieri Selvaggi)
«Vivi la quotidianità di ogni giorno» recita la frase finale del film, in sovraimpressione. Keinosuke e Jun sono una coppia, condividono non solo lo spazio della casa, ma anche quella “quotidianità di ogni giorno”, appunto, fatta di gesti ripetuti, di pasti consumati e spese al supermercato insieme, di sguardi amorevoli, di piccole attenzioni. La macchina da presa delimita il luogo/nido, con la finestra dalla quale irrompe la luce che arriva dall’esterno, coglie il momento in cui il ragazzo attraversa una sopraelevata che lo conduce al posto di lavoro. Poi però qualcosa ad un certo punto accade e il nido si trasforma in prigione, il “ponte” verso il mondo esterno diventa impossibile da attraversare. La depressione avvelena l’animo di Keinosuke e da lì si estende al rapporto con Jun, La ragazza tenta di smuoverlo dal torpore, decide comunque di rimanergli vicina, lei che ha conosciuto l’abbandono dei propri genitori, ma è impresa ardua: la quotidianità di ogni giorno diviene quella dell’isolamento della coppia rispetto al mondo esterno, oltre che di uno nei confronti dell’altro.
Shinohara Atsushi, attore in diversi film come Karate Girl (2011) di Kimuna Yoshikatsu, A story of Yonosuke (2012) di Okita Shūichi, Zen Tai (2013) di Hashiguchi Ryōsuke, esordisce alla regia con quest’opera che alterna la rappresentazione della realtà del presente a quella del mondo dei ricordi (del loro primo incontro, del tempo felice insieme), indugiando in immagini da angolature fisse, ripetute. Ne risulta un racconto concentrato su uno dei mali del nostro tempo, la depressione, e sulle devastanti conseguenze che può avere sull’animo degli umani, ma anche una sorta di “viaggio” in bilico tra realtà e fantasia: Keinosuke si lascia rapire dall’apatia e trascina con sé anche Jun, insieme lasciano che i loro sguardi si perdano nel buio della notte oltre la finestra, favoleggiando su misteriosi alieni che potrebbero vivere lì fuori, da qualche parte.
Struggente lo sforzo iniziale di lei per rimanere attaccata alla realtà, il regista ci fa sentire il suo urlo nel tentativo di far ragionare il compagno: «Partiamo!», ma è un’esortazione che proviene da fuori campo, da un altrove slegato dai corpi, e che si percepisce inefficace. Ed allora, in uno slancio dettato dall’intenso legame che li unisce, si farà lei stessa “aliena”, tenterà di raggiungerlo in quel mondo nel quale è prigioniero, quello dell’incomunicabilità e del distacco.
Il finale è, ancora, sospeso sul filo dell’irrealtà. Il regista ci mostra il suo protagonista, da lui stesso interpretato, che, dopo un momento di apparente ripresa, si è suicidato impiccandosi – in maniera piuttosto improbabile – al rubinetto della cucina. La donna è seduta lì di fianco, nell’ambiente scarsamente illuminato. Subito dopo l’inquadratura lascia il posto a un apparente “nuovo inizio”: i due nella stessa stanza pervasa della luce del giorno, i soliti gesti amorevoli della vita insieme.
Keinosuke si è veramente ripreso? Il loro amore ha vinto e li ha fatti risalire dal baratro della depressione? O è la donna che, di fianco al cadavere del compagno, ricorda i momenti felici insieme, ormai perduti?
Il titolo sembrerebbe far propendere per un’interpretazione positiva, ma in ogni caso rimane forte la percezione, al termine del film, di quel senso di equilibrio in bilico tra realtà, ricordo e sogno che caratterizza un’intensa storia d’amore. [Claudia Bertolè]

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