Phil Jackson è stato chiamato a indurre ben due di questi nella Hall of Fame, simbolo questo della sua grandezza oltre che come allenatore anche come uomo. Tex Winter infatti, che non era presente a causa dei suoi gravi problemi di salute, è stato ricordato da quello che è stato suo allievo per tutta la carriera, e che l’ha voluto sempre con se in tutte le avventure che ha intrapreso.
Jackson poi ha dovuto introdurre anche Rodman, cosa mai facile, e quando questo si è presentato sul palco con il suo look piuttosto eccentrico, anche Mr. 11 anelli ha fatto una faccia piuttosto perplessa.
Rodman comunque si è commosso più volte durante il suo discorso in cui ha voluto ringraziare il commissioner David Stern e tutta l’NBA, i suoi coach e i dirigenti delle squadre in cui ha giocato e vinto (Detroit e Chicago), i suoi compagni di squadra, e poi si è scusato con la madre e con la sua famiglia (il figlio per altro era stato agghindato a modello del padre) per tutti gli errori che ha commesso in questi anni.
L’applauso da parte della platea alla fine del discorso è stato comunque vero e molto sentito, perchè poteva piacere o piacere, ma Rodman è stato un’icona dell’NBA per più di 10 anni.
Prima di lui era toccato anche ad altri due grandissimi di questo sport: Chris Mullin (due volte oro Olimpico e 5 volte All-Star NBA) si è fatto introdurre da Lou Carnesecca, mitico coach di St. John University; e Arvydas Sabonis, introdotto da Bill Walton che l’ha definito un “Larry Bird di 220 centimetri“, ha voluto ringraziare l’NBA e i Portland Trail Blazers, che gli hanno dato la possibilità di giocare negli Stati Uniti e soprattutto lo staff medico, che l’ha aiutato a recuperare dai gravi infortuni avuti, rimettendolo sempre in campo.
Questo il discorso fatto da Dennis Rodman: