H&M, Moncler & Co: riflessioni (semi) serie

Creato il 04 novembre 2014 da Morgatta @morgatta

Qualche settimana fa il video della 17enne “infiltrata” nelle fabbriche che producono per H&M sfruttando il lavoro in maniera pesante, ieri la “rivelazione” dei signori della Moncler che spennano le ochette per riempire i loro orribili piumini dai prezzi stellari che in realtà pagano veramente poco: sorpresa, indignazione, orrore. Ma davvero a nessuno è mai venuto il sospetto che dietro certi business non ci fosse proprio un’etica chiara e limpida? La gente pensa davvero che H&M per avere i prezzi così bassi utilizzi materiali buoni e lavoratori regolarmente stipendiati? O che ci sia un modo indolore per strappare le piume alle oche? Abbiamo dovuto aspettare il 2014 per aprire gli occhi? Forse sì, nonostante esista un libro (già, quelle cose antiche, i libri) di circa 10 anni fa che ha fatto parecchia luce su mega-aziende e multinazionali che indossiamo e consumiamo giornalmente.Il mio primo lavoro come stilista, prima ancora che mi diplomassi, è stato in Turchia, per una nota catena: tutto il “glamour” del mondo fashion dei miei sogni di bambina si è sbriciolato nei primi 10 minuti in azienda, in una situazione di manodopera in un deserto pieno di aziende circondate di fumi poco sani e gente che passava intere giornate (notti comprese) davanti alle macchine. Succedeva più o meno 13 anni fa. Da quel momento ho capito che il meccanismo è molto semplice: i brand cercano il profitto; per avere più margini bisogna contenere i costi; per contenere i costi si va dove si spende meno; quando si spende “troppo di meno” è perché anche lì qualcosa è stato “tagliato” (e non per fare sconti-simpatia ai clienti buoni). Quindi le due fantomatiche “rivelazioni” non mi stupiscono per niente. Mi stupiscono, al contrario le file da H&M, perché la gente vuole spendere poco e per salvare il proprio portafoglio non si pone il problema dell’etica (perché temo che nessuno, dopo la vista dei filmati, abbia smesso di recarsi nella catena salva-armadio di mezzo mondo), mi stupiscono quelli che non si informano e che sembrano cadere dalle nuvole (ma due domande ce le vogliamo fare ogni tanto), mi fanno incazzare le aziende che nel 2014, con il mondo che sta andando a rotoli, non hanno il coraggio di mettersi una mano sul cuore per dare una mano al pianeta a salvarsi. Tante non lo fanno, ma alcune hanno iniziato, come testimonia l’iniziativa di Greenpeace “The Fashion Duel” per eliminare entro il 2020 le sostanze tossiche per l’uomo e per l’ambiente prodotte dalla filiera del tessile (già, perché per colorare, trattare e sdrucire i cari jeans vengono utilizzati prodotti chimici che indovinate un po’ dove finiscono?!?).

Boicottare certe grandi aziende può essere utile? Beh, temo di sì. Se non altro fino a che non cominceranno a produrre in maniera più civile ed attenta all’uomo, agli animali e all’ambiente. Nel frattempo è bene sapere che esistono una serie di piccoli produttori, designer indipendenti che, slegati dalla logica del business (sia chiaro, nessuno fa beneficenza, ma di sicuro non ne approfittano così tanto, anche in termini di ricarico sul prodotto finito perché non hanno tutta una serie di passaggi intermedi “costosi”, tipo pubblicità, agenti, fieri, showroom…essì, perché sono anche queste voci che influiscono sul prezzo finale portando il “piumino” da 40 € a 1000 €, anche se questi esagerano davvero) producono in maniera “fair”, etica, promuovendo il Made in Italy VERO. Sì, una t-shirt la potete pagare anche 25 €, ma vi assicuro che il costo di quella maglietta si aggira tra gli 8/10 € ed è stata prodotta nel RISPETTO

Il vero segreto per risparmiare non è pagare di meno cose di scarsa qualità, ma nel comprare MENO capi fatti con amore. Possedere quintali di cose non deve essere il fine. Anche perché nella tomba non avremo bisogno di tutti quei vestiti. ;)