Hana bi – Fiori di fuoco

Creato il 18 luglio 2013 da Nehovistecose

(はなび – Hana-bi)

Regia di Takeshi Kitano

con Beat Takeshi (Nishi), Kayoko Kishimoto (Miyuki, la moglie di Nishi), Ren Osugi (Horibe), Susumu Terajima (Nakamura), Tetsu Watanabe (Tesuka), Hakuryu (Killer della Yakuza), Jasuei Yakushiji (criminale), Taro Itsumi (Kudo), Makoto Ashikawa (Tanaka), Yuko Daike (la vedova di Tanaka).

PAESE: Giappone 1997
GENERE: Drammatico
DURATA: 103’

L’ex poliziotto Nishi convive con due enormi rimpianti (la morte di un collega giovane e la paralisi di uno suo coetaneo) e una moglie malata terminale di leucemia. Dopo aver indotto alla pittura il collega infermo, rapina una banca per portare in vacanza la moglie, in fin di vita. Tragico e silenzioso epilogo su una spiaggia deserta.

Settimo film del giapponese Takeshi Kitano, regista, sceneggiatore, montatore, scrittore, pittore, autore televisivo, umorista e persino presentatore televisivo con il nome “Beat” Takeshi (pseudonimo con cui firma anche le proprie performance da attore). Questo Hana-bi – l’ideogramma del titolo originale significa letteralmente “fuochi d’artificio” – è una delle sue opere più riuscite e personali, la vetta della sua poetica: la violenza, spogliata di qualsiasi alone romantico, sottolinea lo stordimento umano dinnanzi alla mancanza di senso delle cose, mentre la morte diventa, oltre che supremo e dolorosissimo gesto d’amore, l’unico modo possibile per ottenere la pace. Kitano prende gli stereotipi dello yakuza movie e li ribalta restituendo alla violenza criminale tutta la sua becera imbecillità, rinuncia agli stilemi del noir incentrando il suo racconto su un personaggio che pare trovarsi lì per caso, un antieroe solitario e taciturno che ricorda negli abiti una iena di Tarantino, nelle movenze un tenero Charlot chapliniano (strepitose, e molto chapliniane, le scene di tenerezza con la moglie) e nello stato d’animo un ingenuo Monsieur Hulot alle prese con l’incomprensibile mondo moderno. Tutti modelli americani, certo, ma filtrati da uno stile originale e molto “orientale” che ritrova il piacere del perdersi nei tempi morti e di indugiare sugli sguardi, sul gioco, sui silenzi. È un film dominato dal colore, quello rosso del sangue e quello, multiforme e poetico, della pittura: Nishi attraversa la propria esistenza e infine la conclude all’insegna del rosso del sangue; Horibe, grazie al colore della pittura, la fa ripartire quando sembrava finita. Hana Bi significa “fiori di fuoco”, ma potrebbe voler dire benissimo “fiori DAL fuoco”: è dal fuoco (della violenza) che nascono i bellissimi fiori dipinti da Horibe.  Le vite parallele di questi due ex uomini di legge che hanno (forse) perso tutto, così lontane ma così vicine, spingono Kitano (anche montatore) ad alternare improvvisi scoppi di violenza a quiete immagini dipinte, la tempesta e la quiete, proprio come accade nella vita.

E il finale catartico sulla spiaggia, lontanissimo da qualsiasi stereotipo hollywoodiano e molto vicino a quello de La dolce vita di Fellini, può essere interpretato sia come un segno di disperato pessimismo che come una speranza “generazionale” nel futuro. Maestro nell’uso di qualsiasi procedimento filmico (il flashforward raramente è stato utilizzato così bene e in modo così simbolico), Kitano fa un film parlato pochissimo che affida tutto al potere dell’immagini, capace di trovare la poesia con niente (la sequenza in cui Horibe bagna i propri piedi paralizzati sulla spiaggia è un pezzo di grandissimo cinema) e di commuovere, spiazzare, emozionare, persino di divertire. È un capolavoro da guardare e da sentire, inteso come “percepire”. Musiche di Joe Hisaishi, fotografia di Hideo Yamamoto, mentre i dipinti che appaiono sono tutti opera dello stesso Kitano. Non somiglia a null’altro, e nel suo essere anomalo diventa unico. Da non perdere.



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