Sapete una cosa, io mi alzo alle cinque tutte le mattine, lavoro da mattina a sera, maneggio soldi miei e di altri, e vedo bene che razza di gente ho intorno. Basta cominciare ad occuparsi di una qualunque cosa per capire quanti pochi galantuomini ci siano in giro, gente di cui ci si possa fidare. Talvolta, quando non riesco a prender sonno, penso: Dio, ci hai dato boschi immensi, campi sterminati, orizzonti sconfinati e, vivendo su questa terra, anche noi dovremmo essere dei giganti
Anton Pavlovič Čechov, Il giardino dei Ciliegi
Paola Pluchino. Infine giunse la primavera. I fiori si dischiusero sotto il tepore caldo del primo timido sole. Le donne rivelarono la bianchezza delle grazie, carezzandosi il volto coi bagliori mattutini. Il cinguettio degli uccelli fece svegliare le anime gentili, corpi assopiti nel placido dormire dell’inverno. Dopo il silenzio, anch’esso per certi versi soffice rifugio del meditare, le piazze si ricolmarono e i ghiacci si sciolsero, abbeverando l’acqua della fonte.
Questo numero porta con sé il lavorio dietro le quinte che ha preceduto il germoglio, qui posto insieme alle radici dell’indagare, mai pago nello svecchiare l’estasi. Reduci da presentazioni ufficiali, torniamo all’opera montando e scomponendo i gesti del valoroso nuovo e originale, quel temerario e delicato fiore che nel brusio si erge a dolce monito del coraggioso esprimere.
Celebriamo così la pulizia della sostanza, lontana dalla mera e deprecabile copiatura. Lontani ma non per questo slegati dai nostri alleati e lontani amanuensi, questo seminare fiorisce, come nuova primavera gioiosa, meraviglia che l’investe, per fulgida architettura di luce.
Grazie all’Università di Bologna, che premia il nostro lavoro con l’alloro dal bianco fiocco.