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“Scusi, ma questo uomo quanti anni ha?”

Da Chiara Lorenzetti

“Scusi, ma questo uomo quanti anni ha?”

Nessuno le aveva mai dato la chiave dei suoi pensieri, li provava, da sola, uno ad uno, e ad uno a uno tentava di dar loro titolo e storia. Quel giorno decise che non bastava, che ogni porta era sprangata o che, se aperta, la gettava nel buio e nel vuoto. Decise di allungare una mano, richiudendo il respiro che batteva forte. E raccontò ciò che dentro s’era agitato per tempo, riavvolto e legato, un pacco sporco d’emozioni, un laccio senza capo, un nodo stretto, una mano monca.
L’uomo e la donna di fronte a lei vestivano di giorno e di una serietà che non s’era aspettata. Nel ripassare quell’incontro, si era vista un freddo verbale, carta scritta senza guardare, fogli, documenti, bolli, nessuna intenzione e “le faremo sapere”.
Così non fu e quegli occhi di fronte a lei avevano tempo dedicato solo a lei, alle sue intenzioni, un bambino che, sedutosi, dice “raccontami, mamma, la storia”.
Fu di vita il trascorrere del dire, prima confuso che del tempo il ricordo non è mai pago, e poi dipanato, attimi, parole, scritti, i sentimenti no, quelli reclusi, che ad essere oggettivi si spende meglio la comprensione.

Imparò molto, più di quello che s’era mai detta in quegli anni, più di quello che s’era insegnata. Più di quello che le era stato fatto credere. Più, semplicemente ebbe di più. Ascoltò, fu difficile essere lì, ascoltò, loro che sapevano dire, non fu facile ascoltare, ascoltò e si disse che avrebbe imparato.

Fu tanto il tempo, pieno dell’esistenza che aveva rinchiusa, le fu dedicata la loro esistenza, la comprensione, la solidarietà, le diedero le carte, la strada, l’indirizzo e la via per fuggire, qualora lo avesse dovuto fare.  Non fu libera, quello no, ma compresa. Non più solo sogno, immaginazione, ma verità reale.

Si alzò con fare stanco, salutò fin verso la porta, e nel mentre che usciva, quell’uomo con gli occhi di fiducia, stanco anch’esso le chiese “Scusi, ma questo uomo quanti anni ha?”.

Chiara


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