Che avessi bisogno di un re-incontro, in fondo, lo sapevo già. Quel che non immaginavo è che bastasse una webcam.
Avevo mandato la mail di fretta, una Domenica sera. Due domande raffazzonate a caso, senza troppa voglia di pensarci su. D'impulso, come più spesso dovrei fare le cose. Da lì a Mercoledì, me n'ero già del tutto scordata.
C'è voluta Céline a riportarmi sul pianeta Terra dell'attesa groupie. “Ho visto che hanno contattato una colombiana...non è che per caso hanno scritto anche a te?”. Merda, l'hangout. Fuga precipitosa sulla casella di Libero. Un nuovo messaggio in arrivo. Sul mittente in evidenza leggo Sony Music Spain. E non ho neanche bisogno di cliccarci su. 'Somma, è ufficiale. Che gli eventi ti sorprendono quando meno te l'aspetti. Che le videoconferenze di Google+ sono il futuro. Che sono stata selezionata per parteciparvi. Che l'indomani stesso, seppur al di là di uno schermo, avrei parlato faccia a faccia con Dani Martín. Guardandolo negli occhi. Ascoltando le risposte che da troppo reclamo. Cercando al di lá di quel suo Ciuffo (Ciao, Koala!) il senso stesso del perché sto ancora qui.
Dalla consapevolezza al panico, capite, il passo é breve. Insomma, come mi vesto? Non credo d'essere preparata sulle ultime tendenze in fatto di outfit da hangout. E poi é una vita che non parlo spagnolo. Se ho scordato la lingua? Oltrettutto, per la serata dell'evento prevedono temporali. Potrebbe saltare la connessione. Chi glielo chiede, dell'Italia, se salta la connessione? Inspira. Espira. Inspira. Devo. Mantenere. La. Calma. Certo, non che le prove tecniche mi facilitino l'impresa. Luis, il povero disgraziato incaricato di farmele, ha lunghi capelli biondi e l'aria un po' da metallaro. Mi parla da Madrid, davanti a una finestra che dá sull'esterno. Lo schermo la inquadra quanto basta a invidiare la luce da pieno giorno che ancora illumina la Spagna alle nove di sera. Dietro di me, il buio dell'est é ormai quasi totale. Tanto da indurlo a specificare che l'orario dell'incontro dell'indomani é da intendersi secondo orario spagnolo. Depressione. Il lampadario acceso, oltre a rendermi mostruosamente gialla, mi porta a vergognarmi un po'. “No, é che c'è brutto tempo”, dico con tono di scusa. Mentendo. Come se fossi io stessa ad aver messo via il sole. Comunque. Per contattarmi, Luis ha usato l'espressione castigliana che in assoluto odio di piú.“Ti chiamo en un rato”, aveva scritto. E, forse voi non lo sapete, ma il “rato” spagnolo é un lasso temporale indefinito che puó andare dai 5 minuti alle 3 ore. Nello specifico della mia ansia, avrei dovuto in effetti giá dare per scontata la seconda opzione. Prima di vederlo sullo schermo, faccio in tempo a scorrere tre volte la bacheca di instagram. Rispondere al messaggio di un'amica. Persino cenare. Come se l'attesa non fosse abbastanza, l'invito all'hangout di prova non mi viene recapitato. Il link non funziona. Google si scusa per “non essere riuscito a risolvere il problema”. “Se riprovassimo domattina?”, mi scrive il povero Luis, subito prima di essere colpito da un'intuizione tecnica geniale. Dopo un “rato” quantificabile in due ore e mezza, riesco finalmente a ringraziarlo a voce. Ringraziarlo per la pazienza, certo. Ma, soprattutto, per averlo costretto a lavorare cosí tardi. Chè da lui ci sará pure ancora tutta quella luce, ma rimangono pur sempre le nove di sera. E poi, parliamoci chiaro: dal momento stesso in cui il suo nome si dota di una faccia, io gli scrivo in testa tutta una lunga biografia. Immagino che ascolti hard rock, forse addirittura heavy metal. Che abbia iniziato a lavorare per una casa discografica dopo aver suonato per anni con un gruppo nei pub della cittá. Se non poteva guadagnarsi da vivere come musicista – si dev'esser detto – almeno avrebbe voluto rimanere nell'ambiente. Per questo si era specializzato in comunicazione musicale. Magari ha fatto il master, quello lí a Madrid su cui per un periodo m'ero informata anch'io. Doveva aver riposto un sacco di speranze, in quel lavoro per la Sony. E invece, aveva finito col lavorare fino a tardi per un artista che sicuramente detestava. Immagino che le disprezzi, le fan di Dani Martín. Che pensi a loro come a ragazzine idiote e francamente alquanto isteriche che non capiscono il valore della buona musica. Cosí, presa dalle mie farneticazioni, mi sento in dovere di risollevare la categoria. Di mostrarmi gentile, pacata, colta, persino tecnologicamente competente. Il peso della responsabilitá che mi sono autoaffibbiata é sufficiente a farmi venire l'ansia da prestazione. Portando alla paradossale conseguenza che, di quel che mi dice Luis, non capisco assolutamente nulla. Ragion per cui mi limito ad annuire con sguardo vacuo. Ridere in modo isterico. E blaterare cose stupide tipo scusarmi perché ad Est il sole tramonta prima. Il modo migliore per dar ragione agli stereotipi che forse manco ha. Cioè, complimentoni.
In compenso, il giorno dopo é ancora peggio. Dal momento in cui una notifica di Google+ mi informa che l'evento é stato cancellato a quando, neanche 30 minuti dopo, viene confermato “con tante scuse”, riesco a mandare altre tre mail a Luis. Il resto della giornata trascorre nel tentativo di scrivere un post per il blog aziendale e i crampi allo stomaco, sempre piú frequenti in diretta proporzione con la quantitá di nubi nere che si addensano all'orizzonte. A un'ora dall'inizio ho talmente tanta nausea che mi visualizzo distintamente mentre vomito nel cestino dell'immondizia davanti agli occhi allibiti di Dani Martín e tutte le migliaia di persone che ci guardano in diretta streaming. A mó di scherno, m'avvolge una scarica di tuoni. Poi, grazie a Dio, il link per connettermi alla videoconferenza di Sony mi viene recapitato via mail. Constatare che: A) Non si sono dimenticati di meB) Tutto funziona e C) L'altro ragazzo connesso ha un volto famigliare riesce a tranquillizzarmi di botto. Anzi, il calo di tensione é talmente intenso che il problema diventa, semmai, tenere gli occhi aperti. Comunque, per qualche strano motivo mi sento a casa. In famiglia. A mio agio. Di colpo, mi tornano in mente tutte le sensazioni che descrivevo sul blog; e penso che, beh, non le scrivevo per caso. Dicevo, ricordo, che seguire Dani Martín significava in primis cercare e trovare il mio posto nel mondo. Raccontavo l'idea che essere fan avesse a che vedere con l'urgenza sociologica d'appartenenza a un gruppo. E ora mi rendo conto di quanto avessi ragione. Il ragazzo dal volto famigliare, scopro quasi subito, é Anxton: una foto abbinata a un nickname che leggo- interagendoci – da ormai otto anni almeno. Anche lui mi riconosce subito. Il “tutto ok, ragazzi?”, con cui il team di Sony apre la chat riservata ai partecipanti dell'hangout diventa, cosí, il pretesto perfetto a una lunga conversazione. Chiacchieriamo di Barcellona. Delle nostre vite. Del mio terrore assurdo per il temporale che, inesorabile, si sta avvicinando. E intanto una voce inconfondibile ci arriva fuori onda dalla schermata principale. Quella che, adesso, inquadra un pannello con la copertina del disco in uscita il 17 Settembre. “Pero esto todavía no lo ve la gente, no?”Non posso evitare di scoppiare a ridere. “Ciao, Dani!”, mi verrebbe da urlare. Invece, mi limito a scambiare un'occhiata divertita con Anxton. Gli risponde una voce femminile, appena percettibile, in sottofondo. “Ma quindi non posso ancora parlare con loro?”, s'informa. E so che m'ha giá vista. Che é giá lí. A dirla tutta, un po' mi sento osservata, mentre gli altri fan si uniscono in un “ping” alla conversazione rilassata in atto sulla chat.“Toh, guarda, c'é anche Bere! Mica me l'aspettavo!”“Ilaria, ma sei tu?!”La colombiana, pure lei, la leggo sempre. Per la serie: i mille modi alternativi per sentirsi un po' vip. Dopo infiniti problemi tecnici, e infinite – volutissime – menzioni all'Italia, arriva il mio turno di parlare con Dani. E lo sapevo, che avevo bisogno di un re-incontro, per capire cosa mi stava succedendo. Per capire se la mia passione fosse davvero esaurita, o avessi – piuttosto – semplicemente iniziato a viverla diversamente. Con maggior obiettivitá, magari. Maggior capacitá di distinguere quello che mi piace da quello che non va giú, rimanendo peró fedele ad un ambiente di cui ormai da troppi anni faccio parte. Lui mi saluta dallo schermo. “Ciao bella”, dice in italiano. Alla risposta ad ognuna delle mie tre domande ribadisce gratitudine nei miei confronti. Che “Ilaria viene dall'Italia ai miei concerti”. Che “grazie di tutto il tuo affetto”. E giú baci, mandati in uno schiocco dritti al centro di una rinata euforia.
Come se non bastasse, pare tutto confermato. Il disco uscirá da noi. Non si sa quando. Non si sa con che modalitá promozionali. Ma uscirá. C'é stato giá un incontro tra Dani e il presidente della Sony Italia. C'é l'intenzione. C'é la volontá. “Per me sarebbe muy bonito...”“Anche per me!!”“...Anche per te, lo so.”E nella soddisfazione per il traguardo raggiunto mi sa che la passione, in fondo, é ancora tutta intera. Piú di un'ora dopo, al termine della videoconferenza, noi fan rimaniamo a chiacchierare un altro po', come se fossimo fisicamente incapaci di andarcene. Complimenti per le domande degli altri. “Mi si sentiva bene?”. “Qualcuno di voi é mai stato a Puerto Rico?”. Di nuovo, mi sento in famiglia. L'appartenenza a un gruppo. La sensazione provata ai concerti. Tutto quello che credevo di aver perso. Sorrido. Come primo risultato di questo mio strano periodo, le ciloske (i.e: fan de Il Cile) conosciute ora vogliono provare ad ascoltare 'sto Dani Martín. Ditelo alla Sony: la miglior strategia di marketing per far conoscere la sua musica da noi é chiaramente che io mi iscriva ai fanclub di tutti i cantanti italiani.