“Era la fine, l’ultima conferma, se ancora ce ne fosse stata necessità, se ancora con un sussulto di ingenuità avesse osato dubitare, che un Oscuro Signore esisteva e stava completando il suo disegno di dannare il mondo.”
“Il Cavaliere di Luce” (Giunti Editore, 2015) è il primo episodio della trilogia fantasy “Hania”, opera di “un medico che scrive” – così come ama definirsi la sua autrice – e che attualmente si occupa di psicoterapia. Fino a qui non ho detto niente di nuovo, visto che Silvana De Mari è una delle scrittrici più note di questo particolare genere letterario, indicato soprattutto per i ragazzi e nel quale è un attimo scadere nel banale.
Quello che invece, a mio avviso, è innovativo, consiste nell’avere inserito il dramma tipico della favola quale punto di partenza – e mi riferisco a reminiscenze di vecchi incantesimi che profetizzavano alle principesse gravi sventure. E soprattutto, che anziché su aspetti fantastici e pregni di spettacolarità, l’autrice si sia soffermata ad analizzare i sentimenti dei suoi personaggi. I rapporti umani qui sono al primo posto, così come il loro evolversi nel corso della storia. I protagonisti crescono, maturano e cambiano il loro atteggiamento, come se questo fosse un romanzo di formazione. Ma il paradosso è che invece non lo è! “Hania. Il Cavaliere di Luce” è un fantasy a tutti gli effetti, e credo che l’autrice sia stata davvero brava a mescolare gli elementi, senza fa sì che l’intento d’origine venisse snaturato.
Il libro parla dell’eterno conflitto fra Bene e Male, laddove labili sono i confini e le prospettive possono anche essere ribaltate. Il Male è rappresentato da un “Oscuro Signore” che si propone di insidiare l’intera umanità, concependo un figlio con una donna. La prescelta è Haxen, la principessa del regno delle Sette Cime, cresciuta nei valori della cavalleria, attraverso le storie di quel Cavaliere della Luce che l’amato padre, ora deceduto, le narrava da piccola. Il figlio concepito deve quindi essere ucciso, pena l’estinzione della specie. Haxen però sa che un vero cavaliere – quale lei con la sua spada aspira ad essere -, non farebbe mai del male ad un infante. È una regola ferrea, alla quale non si può proprio trasgredire.
“Ognuno ha il suo destino, e il suo era di essere un cavaliere, colui che avrebbe salvato il mondo impedendogli di perdere la sua decenza nell’assassinio di un bambino, e che lo avrebbe protetto.”
In realtà, nasce una femmina, che Haxen chiama Hania, come la sua bambola. Ella decide quindi di risparmiarla e di proteggerla, portandola con sé nel deserto, lontano dal genere umano per evitare che possa nuocere a qualcuno. La bambina è muta e sembra più grande della sua età. Molto intelligente, è in grado di capire e prevedere tutto. Le due “fuggitive” affronteranno un duro cammino, fatto di insidie, pericolosi briganti che attentano alla loro vita, false promesse e privazioni. Una madre coraggiosa e una figlia con grandi poteri: ecco quello che, in sintesi, esse sono. Due figure distinte che devono imparare a convivere e a capire di essere più forti insieme.
Ad Haxen e Hania si unirà anche un misterioso guerriero che saprà aiutarle, e farà comprendere loro cosa significhi avere qualcuno con cui condividere la vita. Ma è ora di fermarsi, e lasciare un po’ di mistero per il finale della storia.
Elemento essenziale in questa vicenda è il senso dell’ironia, profuso dall’autrice, quasi talvolta si divertisse a farsi beffa dei suoi stessi personaggi. Gli eventi sono narrati da due punti di vista: quello della madre e quello della figlia. Per questo a volte può sembrare che possano esserci delle ripetizioni, ma sono certa che sia una cosa voluta dalla scrittrice. Haxen viene definita spesso con epiteti quali “oca” o “scema”; mentre Hania è “istrice odiosa”, ma anche questo fa parte di un modo maldestro di gestire rapporti, ai quali non si è avvezzi.
Hania, sebbene figlia del demonio, rivela una parte di sé che ha qualcosa di umano. Ella non sottovaluta la stupidità degli uomini, e crea “pasticci” perché l’essere umano non è mai sazio di nulla e non sa agire nel bene. La bambina si ritiene una sorta di “giustiziere”, cercando di imitare le gesta del Cavaliere della Luce che tanto ama.
“Hania sentì di nuovo la sua sterminata solitudine, unico essere pensante in un mondo di assoluti deficienti.”
“Nausea” si rivela la parola chiave, di cui l’autrice abusa, per esprimere quel senso di fastidio che la bambina prova sperimentando il contatto umano. Anche se poi, nonostante tutto, la morale giunge chiara: un bambino è frutto di genetica solo in parte, ma la cosa che più conta, per la sua formazione, è l’educazione ricevuta.
La copertina, con l’illustrazione di Nicoletta Ceccoli in tutte le sfumature di quel color indaco di continuo citato, si presenta accattivante e adatta ad un pubblico giovane. I capitoli sono ben curati, introdotti dal simbolo del casato della principessa Haxen, coi capilettera in evidenza.
In sintesi, “Hania. Il Cavaliere di Luce” è un libro consigliato agli amanti del genere, ragazzi e adulti indistintamente, ma anche a chi per la prima volta desidera fare la conoscenza di un filone letterario che ha un mondo a parte. Dove alberga l’immaginazione e gli elementi fantastici non vengono mai spiegati in maniera scientifica.
Written by Cristina Biolcati