Magazine Cinema
La trama (con parole mie): Hanna è una giovane adolescente cresciuta in una disabitata regione polare ed addestrata dal padre per essere una perfetta macchina di morte. Tutto quello che conosce del mondo lo ha appreso attraverso i libri e le letture, e non vede l'ora di poter dimostrare ciò che vale nella missione che il Destino pare averle posto innanzi: eliminare Marissa, spia legata a doppio filo alla tragica morte di sua madre.
Ma il nuovo mondo, ed il viaggio che porterà la ragazza a scoprirlo, riserveranno sorprese amare a chi non è abituato alle infide crudeltà della vita reale.
Avevo qualche dubbio, a proposito di questo nuovo progetto di Joe Wright.
Ammetto di essere ancora parecchio a digiuno del suo lavoro, mancando all'appello le sue due - apparentemente - opere più deboli, Orgoglio e pregiudizio e Il solista, ma l'impatto emotivo e tecnico davvero prepotenti di Espiazione mi avevano in qualche modo fatto intendere che difficilmente avrei potuto ritrovarmi nel lavoro del regista anglosassone una volta ancora, forse perchè la cartuccia migliore pareva fosse già stata sparata dal suddetto.
Invece, con grande piacere del sottoscritto, la visione di Hanna non solo mi ha costretto a rivedere la posizione che avevo rispetto al buon Joe, ma anche ad essere profondamente ottimista per il futuro di un cineasta che promette davvero bene, e pur non raggiungendo anche con quest'opera le vette del suddetto Espiazione, riesce - e cambiando radicalmente il suo stile e l'approccio con la materia narrativa - a conquistare lo spettatore grazie ad un ottimo impianto che unisce parti estremamente legate all'azione pura - con sempre gradite deviazioni nell'ambito spionistico - ad una vera e propria vicenda di formazione, legata alla costruzione del carattere della giovane protagonista, che vede minacciate progressivamente nel corso della sua missione di vendetta tutte le certezze accumulate in una vita passata sola con il padre per ritrovarsi, alla fine, di fronte alla comprensione di ciò che, forse, le sfuggiva ad inizio pellicola.
Un'ottima, efficace metafora sulla crescita e sulla progressiva emancipazione dai propri genitori e dalle origini che punti a formare l'identità che ci si porterà dietro tutta la vita: vista in questo modo, appare perfettamente funzionale anche la lunga parte, nel corso della fuga, dedicata al legame di Hanna con la famiglia che le da un passaggio in camper, specchio delle nature in conflitto che la ragazza porta con sè, ancora irrisolte.
Ottimo il cast - ho apprezzato molto sia la giovane protagonista, che al contrario non avevo praticamente notato in Amabili resti che la Blanchett, perfetta nel ruolo di "madrina cattiva" -, discreto lo script - pur se non perfetto - e davvero notevole il montaggio, capace di trasformare il respiro ampio e quasi epico delle spiagge di Normandia fotografate, appunto, in Espiazione, e mutarle in un collage senza tregua che mescola le visioni degli anni settanta all'adrenalina dei novanta.
Complimenti dunque a Wright, che è riuscito a trasformare il rischio di un clamoroso flop in un film accattivante e mai scontato, magari non perfetto ma ugualmente così coinvolgente da non fare pensare troppo al fatto che debba necessariamente funzionare tutto.
E con il finale - nonostante le apparenze, per nulla aperto -, il regista scrive l'ultima parola di un personaggio tra i più interessanti che l'universo femminile abbia regalato al Cinema in questa prima parte dell'anno.
Una cosa certo non da poco.
MrFord
"I once had no fears
none at all
and then when
I had some
to my surprise
I grew to like both
scared or brave
without them."
Bjork - "Innocence" -
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