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Restano
dubbi su Tsipras? A me pare che dopo la dichiarazione ufficiale da
lui rilasciata al termine dell’eurosummit del 12 luglio – la
riporta il
manifesto,
oggi, e qui vale la pena di analizzarla in dettaglio – non ne
restino neppure per chi ha commesso la leggerezza di considerarlo, se
non un rivoluzionario, uno tosto, uno con le palle, uno capace di
mettere l’Europa con le spalle al muro, costringendola ad accettare
una ristrutturazione del debito, se non un suo drastico taglio, che
consentisse alla Grecia di riprender fiato dalla morsa delle misure
alle quali era stata sottoposta dai governi precedenti, sennò
fanculo all’euro, fanculo all’Europa, e che i burocrati
dell’Eurozona se la sbrigassero a far fronte alle conseguenze di
una Grexit, che a chiacchiere poteva essere una liberazione, ma
poteva pure rivelarsi un buco nero in cui sarebbero finite prima o
poi il Portogallo, la Spagna, l’Italia e tutto il resto. Macché,
neanche capace di un ricatto che, se andava fatto, doveva essere
fatale: un demagogo da quattro soldi, uno buono solo a infinocchiare
qualche fessacchiotto dei nostri.
In realtà, almeno per quanto mi
riguarda, non restavano dubbi già al momento in cui ha deciso di
indire un referendum che non era difficile intuire si sarebbe
rivelato inutile e dannoso proprio se il risultato fosse stato quello
cui sembrava mirasse, anche se poteva non essere così balzana
l’ipotesi che mirasse a perderlo, per potersi dimettere,
risparmiarsi la figura di merda che oggi lo inscrive nella galleria dei
più patetici bluffer di ogni tempo, tornare a fare l’opposizione, che in fondo è
la più bella delle occupazioni per chi non sa governare, se vuole
scansare ogni altro lavoro di un comune mortale.
«Abbiamo
lottato duramente per sei mesi, fino alla fine», ha detto questo
stronzo cagato a forza, e c’è da supporre non sia nemmeno risparmiato uno di quei sorrisi da piacione coi quali ha mandato in sollucchero la climaterica sinistra di mezza Europa. «Abbiamo lottato duramente per ottenere il miglior risultato
possibile, un accordo che consentirà alla Grecia di rimettersi in
piedi e al popolo greco di essere in grado di continuare a
combattere». La pressoché unanime opinione è che sia stato
costretto ad accettare tutto quello che gli hanno imposto, fatta
eccezione per il contentino di avere i controllori in casa, che già
è cosa umiliante, piuttosto che dover portare i registri di cassa a
Bruxelles. Ancorché unanime, tuttavia, l’opinione che abbia dovuto
cedere su tutto può anche essere fallace. E allora c’è da chiedersi
cosa ci abbia davvero guadagnato, la Grecia. Oggettivamente, nulla. Per
meglio dire, è solo Tsipras che ci guadagna il mantenere la guida
del governo, ma solo a patto di rimpiazzare in Parlamento chi gli
toglierà la fiducia con chi al referendum si è espresso per il sì,
il che neanche è sicuro, sicché sarà più comico che tragico dover
vedere la caduta del suo governo non per un «golpe post-moderno»
deciso a Berlino, ma per una resa di conti tutta interna a Syriza,
mentre in piazza i delusi ne bruciano le bandiere. Perfino il fatuo
Varoufakis finisce per ricavare un’inimmaginabile aura di serietà
gridando al tradimento.
Ma Tsipras, come tutti demagoghi, ha una
faccia a prova di schiaffi: «Abbiamo affrontato decisioni difficili
e difficili dilemmi. Ci siamo assunti la responsabilità di una
decisione per evitare l’attuazione degli obiettivi più estremi
portati avanti dalle forze conservatrici più estreme dell’Unione
europea». Come chi, dopo aver subìto uno stupro, vanti di aver
ridotto lo stupratore a un poveraccio col cazzo moscio.
«Questo
accordo prevede misure severe. Tuttavia, abbiamo impedito il
trasferimento di proprietà pubbliche all’estero, abbiamo impedito
l’asfissia finanziaria e il crollo del sistema finanziario - che
erano già stati pianificati nei minimi dettagli e alla perfezione -
che erano in corso di attuazione. Infine, in questa battaglia dura,
siamo riusciti a ottenere la ristrutturazione del debito e un
processo di finanziamento a medio termine. Eravamo consapevoli che
non sarebbe stato un compito facile, ma abbiamo creato un patrimonio
molto importante. Un lascito importante, e un cambiamento tanto
necessario per tutta l’Europa. La Grecia continuerà a combattere,
noi continueremo a combattere, in modo da poter tornare a crescere, a
recuperare la nostra sovranità nazionale persa. Abbiamo guadagnato
la nostra sovranità. Abbiamo inviato un messaggio di democrazia, un
messaggio di dignità, in Europa e nel mondo. Questa è l’eredità
più importante di questi giorni». Tutto sta, adesso, nel cercare di
convincere i greci che si è trattato proprio di questa strabiliante
vittoria. Non ci riuscisse, pazienza. Però ai greci sarebbe data
un’occasione irripetibile per mostrare all’Europa intera che, a
dispetto dell’odiosa vulgata che li dipinge come italiani appena un
po’ più scemi, sono un popolo serio. Hanno solo lo yogurt? Una
volta tanto ci affogassero dentro un premier.
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