Hanno tutti ragione - Paolo Sorrentino

Creato il 16 giugno 2011 da Alboino
Ho letto il romanzo di Paolo Sorrentino la scorsa estate e per quasi un’anno mi son chiesto se era giusto parlarne su questo Blog e più in generale parlarne pubblicamente, poiché, e attenzione a questa dichiarazione,Tony Pagoda (protagonista del romanzo) sono IO o meglio tutte le notti da quando ho letto questo capolavoro sogno di essere Tony Pagoda. Ma chi è Tony Pagoda e chi nel sogno immagino di essere IO? Intanto è il più grande personaggio della letteratura mondiale contemporanea così come è stato omaggiato e benedetto dal santo patrono dei casi letterari Antonio D’Orrico che dalle colonne del Corriere della Sera ha pontificato: “Paolo Sorrentino ha inventato Tony Pagoda, un eroe del nostro tempo, il più grande personaggio della letteratura italiana contemporanea”. Quindi un eroe dei giorni nostri, un cantante da night ma sopratutto un uomo, di origini e formazione meridionale, partenopeo ad esser precisi, ma un uomo fuori da qualsiasi schema che la letteratura fino ad oggi nel nostro Paese ha prodotto. Pagoda è sì un uomo, ma un uomo che è una tale aspirapolvere di cocaina da scandalizzare persino il medico svizzero a cui ricorre per le cure “Amico mio, voi vi dovete dare una calmata vera. Voi state messo peggio di tutte le rock band inglesi messe assieme che vengono qui un mese sì e un mese no”; è un kamasutra vivente e tante altre cose messe assieme. In pratica Tony è un uomo che nella vita ci sta davvero stretto e questo accade anche per me, nel sogno come nella vita vera. Chi è Tony Pagoda e chi sono IO? Un vitalista, uno che dice: in ultima analisi, la vita è una favolosa rottura di coglioni e certamente Tony opta non per la rottura di coglioni, ma per il favoloso dal momento che sia IO che Tony cerchiamo il senso della vita. E infatti Sorrentino ben traduce questa ricerca del senso della vita, andando indietro nel tempo quando la gente era molto più semplice (ma non cogliona) di adesso e Tony capisce che il presente e il futuro è tutta plastica da riciclare guardando le sette foto della mamma che gli sono rimaste. E’ li che capisce lo smarrimento della società contemporanea e con lo smarrimento il piacere di una vita semplice. Secondo Pagoda, alle mamme che apprezzano il piacere genuino della vita sono succeduti figli “torvi, sinistri, finto tenebrosi”, che credono d’essere complessi ma sono solo complicati e che alla fine si sono procurati unicamente “un mastodontico, martellante, incomprensibile disagio”. E sapete come Tony ci rende partecipi di queste scomode verità? Con un parallelismo del tutto calzante con il cibo che solo i geni di prima grandezza riescono a fare: Tony spiega che la vita fasulla e intellettualoide che viviamo è uguale ai cibi fasulli e intellettualoidi che mangiamo. Una decadenza gastronomico/esistenziale cominciata con il risotto allo champagne, proseguita con le pennette alla vodka, passata per il maltagliato alla vongola e sfociate nella tartarre di tonno, senza contare dei cibi macrobiotici e di tutte quelle nefandezze dei salutisti di oggi. “Eppoi, diciamocelo, non ce la facciamo più con la tartarre di tonno. Ovunque si vada, essa c’è. Come Alba Parietti. Ha rotto i coglioni la tartarre di tonno”. Signori questo è Tony Pagoda ma questo sono soprattutto IO. Uno che per necessità vive in un posto come Rimini e che si è rotto i coglioni di un luogo del genere e soprattutto della gente che lo popola, uno che già tre/quattro anni fa ha fatto quello che Tony Pagoda ad un certo punto del romanzo fa, si estranea da un mondo di merda che non gli appartiene e vive la sua vita in un ambiente marginale e malsano, ma molto, molto più vivace e interessante del mondo che ci propinano oggi.Dunque all’inizio della storia di Sorrentino c’è questo Tony Pagoda da Vico Speranzella che si definisce un cantante confidenziale napoletano. E’ furbo convinto com’è che la furbizia sia un’arte ma soprattutto ha avuto fortuna Tony, tanto che lo incontriamo in uno dei momenti di massimo splendore quando addirittura dopo un concerto a New York riceve i complimenti nientemeno che da Frank Sinatra. Dopo è tutto un precipizio: precipita per la cocaina che consuma in quantità industriali, precipita perché Beatrice, l’unico grande amore della sua vita, lo ha ferito a morte, “Mi tradì, dando ragione in un colpo solo a tutta la sterminata discografia di Riccardo Cocciante, che sul tradimento ha costruito almeno dodici diversi conti correnti miliardari in altrettante diverse banche”, precipita perché i rapporti coniugali sono difficili, “A casa tengo un pianoforte a coda bianco, lampade, divani in pelle nera, tavoli e tavolini di cristallo, lampadari, porcellane di Capodimonte che sono la mia passione e tengo pure mia moglie. Un soprammobile di troppo. Quindici anni fa si scopava da bufali. Ora è un oggetto d’arredamento ”. E così per fermare il precipizio Pagoda decide di scappare in Brasile per ritrovare la vita vera, quella semplice come quella dei nostri genitori negli anni cinquanta/sessanta. Stimolato dall’offerta di un suo ammiratore, ex craxiano, ora deputato della Repubblica che gli offre una valanga di soldi per un unico concerto in Corsica, Tony rientra in Italia pur sapendo che non sa nulla di ciò che è accaduto negli ultimi vent’anni. Questo in breve il plot del romanzo dove ogni pagina è una sorpresa e dove è difficile raccontare nei dettagli qualcosa in più di quanto già detto. Rimane come osserva D’Orrico citare il più grande personaggio femminile della letteratura italiana contemporanea al pari di Pagoda, è Rita Formisano, una donna a cui Tony è legato profondamente e che nel loro dialogo è tutta da scoprire.Che dire: di Tony ho già detto, del romanzo ho raccontato quello che si poteva, mi rimane da dire che è un romanzo provocatorio, satirico e prepotente. E’ un capolavoro e D’Orrico non sbaglia quando lo paragona a “Quer pasticciaccio brutto di via Merulana” e “La cognizione del dolore” di Gadda analizzandolo sul piano stilistico con concessioni linguistiche rispetto all’espressionismo italiano e ancora anche nel paragone con Celine e “Viaggio al termine della notte” se si considera “Hanno tutti ragione” massimalista e scorretto com’è si può certamente considerare derivativo rispetto al paradigma celiniano.

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