Hans Christian Andersen è l'autore delle famose fiabe ricche di colore e di fantastiche meraviglie. Egli amava il mondo dei bambini, perchè era lui stesso un "grande fanciullo" che sapeva come soltanto i bimbi, più degli adulti, possono comprendere l'amore per Dio e per tutto ciò che Dio ci ha dato. Perciò nei suoi scritti, esorta sempre ad amare il bene, il bello, il prossimo e combattere l'ingiustizia e l'iniquità.
Nato il 2 aprile 1805 nell'isola Fyn, ad Odense, cittadina alla foce del fiume omonimo, che ricorda il nordico dio pagano Odino, per molti anni visse con il padre, modesto ciabattino, che si piccava d'esser un letterato: questi durante il lavoro o alla sera leggeva scene delle commedie di Ludovico Holberg o narrava al ragazzo apologhi, racconti e novelle, prendendo lo spunto da vecchie favole e principalmente dalle "Mille e una notte" dalle quali un altro danese Adamo Oehkenschlage (1779-1850) trasse il dramma fiabesco "Aleddin".
Nel fanciullo si sviluppò precocemente il senso dell'irreale e del fantastico. La sua mente intelligente e vivace costruiva scenari meravigliosi dove agitavano folletti, nani, gnomi, bellissime fate dalle chiome bionde, maghi dalle barbe candide e fluenti, streghe, sirenette, animali parlanti, prodi cavalieri lanciati al galoppo tra le nubi o attraverso cupe abetaie in imprese di ardimento e di bontà.
Da alcune vecchiette, ricoverate nell'"Ospizio dei poveri" della città, il ragazzo apprese altri racconti straordinari che lo incantavano, Così condusse una fanciullezza piuttosto svogliata e viziata in quanto non aveva alcuna attrazione per lo studio. In classe i condiscepoli lo beffeggiavano per le sue fantasticherie ed egli preferiva vivere con le creature dei suoi sogni inseguendo trame stupende nel mondo degli incantesimi e delle strane avventure. Per l'incuria della madre e le frequenti diserzioni del padre, che dimenticava i doveri familiari per bazzicare circoli di artisti coi quali poteva sfoggiare la sua erudizione raccogliticcia, il ragazzo crebbe senza frequentare studi regolari.
Un giorno, avendolo, l'insegnante percosso con la bacchetta, secondo le usanze del tempo, egli abbandonò definitivamente la scuola proseguendo per conto proprio le letture che maggiormente lo interessavano. Nel 1816 il padre morì e la madre, poco dopo, abbandonò il figlio per passare a seconde nozze con un altro ciabattino. Hans venne accolto amorevolmente nella casa della sorella d'un pastore, detto "il poeta", che, già amico del babbo,aveva avuto agio di apprezzare la natura sensibile e delicata del ragazzo.
Così Hans potè coltivare le sue ambizioni teatrali e le sue scorribande nel regno dell'incredibile. Fu in questo periodo che scrisse un primo lavoro, una tragedia. Ma le necessità quotidiane lo spinsero a cercare lavoro in una fabbrica, dove, però, com'era già successo a scuola, fu deriso dai compagni per le sue ingenue fantasiose narrazioni; preferì allora tornare ai suoi libri suggestivi voli spazianti nelle infinite lontananze della fantasia. Naturalmente tentò ancora il teatro con altri lavori che leggeva al suo protettore e in una cerchia riservata di amici.
Finalmente nel 1818 le speranze ed i sogni di Hans parvero raggiungere una soddisfacente risoluzione. Una compagnia di artisti del tatro reale di Copenaghen giunse nella cittadina per alcune rappresentazioni. Andersen tanto fece, ed insistette presso un amico incaricato della distribuzione dei biglietti che riuscì a farsi accogliere tra gli attori interpretando qualche particina ed ottenendo lodi e voti augurali. Ciò rinsaldò in lui l'ambizione ed il desiderio di riuscire ad ogni costo. Il 5 settembre 1819 partì per Copenaghen con una lettera di presentazione per una celebre ballerina: sperava di ottenere un definitivo successo ed il riconoscimento ufficiale delle sue capacità artistiche.
Invece della gloria incontrò una grande delusione: ovunque si vide accolto con sorrisi ironici e subito respinto. Che doveva fare? Ormai si trovava nella disperazione, senza soldi, senza alcuna via aperta per la realizzazione dei suoi ideali d'arte e di poesia. Ritornare ad Odense sarebbe stato un disastro. Era come cacciarsi dal fuoco nella brace, dalle umliazioni di Copenaghen alle derisioni dei suoi concittadini, dei coetanei che erano soliti schernirlo allorchè accennava appena alle sue favole. Una sera, mentre passeggiava lungo il molo, alzò lo sguardo al cielo dove brillavano miriadi di stelle e le fissò lungamente. Una di esse splendeva con maggiore intensità e pareva che gli facesse l'occhietto e lo invitasse ad avere maggior fede nel suo destino. La buona stella lo avrebbe protetto ed accompagnato nelle traversie della vita.......
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