Non lasciamo che la primavera si trasformi in inverno. Potere e povertà
Quando Jorge Bergoglio prese il nome di Francesco da papa, fece qualcosa che nessun pontefice aveva fatto prima: si pose nella tradizione del “poverello”. Per il teologo Küng si tratta di una sfida al sistema romano, in termini sia spirituali che istituzionali. Chi avrebbe potuto immaginare quello che è successo nelle ultime settimane? Quando, alcuni mesi fa, ho deciso di ritirarmi da tutti i miei impegni ufficiali in occasione del mio ottantacinquesimo compleanno, supponevo che non avrei visto, nel corso della mia vita, realizzarsi il sogno di decenni e cioè – dopo tutti gli ostacoli che sono seguiti al Concilio Vaticano II – che la Chiesa cattolica facesse nuovamente l'esperienza di quel tipo di rinnovamento che aveva vissuto sotto papa Giovanni XXIII.
E Josef Ratzinger, per decenni mio compagno teologo – ora abbiamo entrambi 85 anni – improvvisamente annuncia le sue dimissioni dalla funzione papale, che diventa effettiva alla fine di febbraio. E il 19 marzo (giorno del suo onomastico e del mio compleanno) un nuovo papa con il sorprendente e programmatico nome di Francesco assume quella funzione. Ha considerato Maria Bergoglio i motivi per cui nessun papa ha osato scegliere il nome di Francesco fino ad ora? Comunque, l'argentino era consapevole che con quel nome, Francesco, si metteva in relazione con Francesco d'Assisi, quel personaggio del tredicesimo secolo, figlio di un ricco mercante di Assisi che fino all'età di 24 anni preferiva lavorare poco e godersi la vita, e che poi rinunciò a famiglia, benessere e carriera, restituendo a suo padre perfino i suoi splendidi abiti.
È stupefacente come, dal primo minuto dalla sua elezione, papa Francesco abbia scelto un nuovo stile: diversamente dal predecessore, non indossa né mitria con oro e pietre preziose, né cappa di ermellino, né scarpe rosse né copricapo fatti su misura, né usa un trono fastoso. È stupefacente anche che il nuovo papa deliberatamente si astenga da gesti solenni e da una retorica altisonante e che parli nella lingua del popolo, come sanno fare predicatori laici. Ed è stupefacente come il nuovo papa dia enfasi alla sua umanità: ha chiesto alla gente di pregare per lui prima di dare la benedizione; ha pagato personalmente il conto dell'albergo come chiunque altro; ha mostrato la sua cordialità ai cardinali viaggiando con loro sul bus che lo portava alla loro comune residenza, e nei saluti ufficiali; e il Giovedì Santo ha lavato i piedi a giovani detenuti, anche i piedi di una ragazza musulmana. Questo è un papa che dimostra di essere un uomo con i piedi per terra.
Tutto questo sarebbe piaciuto a Francesco d'Assisi ed è l'opposto di ciò che papa Innocenzo III (1198-1216) rappresentava in quel tempo. Nel 1209, Francesco ed 11 frati minori andarono fino a Roma per presentare a Papa Innocenzo la loro breve Regola, consistente interamente in citazioni dalla Bibbia, e per chiedere l'approvazione papale per il loro tipo di vita, per predicare come predicatori laici “conformemente alla forma del Santo Vangelo” e vivere in povertà. Innocenzo III, Duca di Segni, che aveva solo 37 anni quando fu eletto papa, era un leader nato – era un teologo che aveva studiato a Parigi, un avvocato scaltro, un oratore intelligente, un amministratore capace e un diplomatico raffinato. Nessun papa prima di lui o da allora in poi ebbe così tanto potere. La rivoluzione dall'alto iniziata da Gregorio VII nell'XI secolo, conosciuta come la Riforma Gregoriana, fu completata da Innocenzo. Invece del titolo di “Successore di San Pietro”, preferì il titolo di “Vicario di Cristo”, come era abitudine per ogni vescovo o prete fino al XII secolo. Da allora il papa, a differenza di quanto avveniva nel primo millennio, ha sempre agito come capo assoluto, legislatore e giudice della Cristianità (cosa mai riconosciuta nelle Chiese apostoliche d'oriente) – e questo fino ad oggi.
Ma il pontificato trionfale di Innocenzo III dimostrò di essere non solo il culmine del papato ma anche un momento di svolta decisiva. Già a quel tempo c'erano segni di decadenza che, in parte fino ai nostri giorni, sono rimasti aspetti tipici del sistema della Curia romana: nepotismo e favoritismi concessi a parenti, tendenza ad accumulare, corruzione e affari di dubbio genere. Verso la fine del XII secolo, tuttavia, stavano emergendo potenti movimenti di penitenti anticonformisti e di mendicanti, come i Catari e i Valdesi. Ma papi e vescovi agivano contro queste pericolose correnti, vietando la predicazione di laici, condannando gli “eretici” con l'Inquisizione e promuovendo perfino crociate contro gli Albigesi.
Tuttavia fu Innocenzo III che cercò di integrare nella Chiesa alcuni ordini evangelici, apostolici, mendicanti durante tutte le campagne di sradicamento contro gli “eretici” ostinati come i Catari. Perfino Innocenzo sapeva che era urgente una riforma della Chiesa, e per questa riforma convocò il Concilio Lateranense IV. Così, dopo una lunga ammonizione, diede a Francesco il permesso di predicare. Per quanto riguarda l'ideale di assoluta povertà come richiesto dalla Regola, il papa cercò innanzitutto di conoscere la volontà di Dio con la preghiera. In base ad un sogno nel quale un piccolo ed insignificante membro di un ordine salvava dal crollo la basilica papale del Laterano – così si disse – il papa finalmente approvò verbalmente la Regola di Francesco d'Assisi. Lo comunicò in un concistoro di cardinali, ma non lo mise mai per iscritto. Di fatto, Francesco d'Assisi rappresentava l'alternativa al sistema romano. Cosa sarebbe successo se Innocenzo e le alte gerarchie fossero tornati a prendere sul serio il Vangelo? Anche se solo intese in senso spirituale piuttosto che letterale, le richieste evangeliche di Francesco significavano – e ancora significano – un'immensa sfida al sistema di potere centralizzato, legalizzato e politicizzato che a Roma, a partire dall'XI secolo, ebbe il sopravvento sul vangelo di Cristo.
Innocenzo III fu probabilmente il solo papa che, per le sue inusuali caratteristiche, avrebbe potuto indirizzare la Chiesa lungo un cammino totalmente diverso, e questo avrebbe evitato ai pontificati dei secoli XIV e XV scismi ed esilio, e alla Chiesa del XVI secolo la Riforma Protestante. Evidentemente, questo sarebbe stato un cambiamento paradigmatico per la Chiesa cattolica del XIII secolo, un cambiamento che invece di spaccare la Chiesa l'avrebbe rinnovata, e al contempo avrebbe riconciliato le Chiese d'Oriente e d'Occidente.
Così, le prime fondamentali preoccupazioni cristiane di Francesco d'Assisi restano ancora oggi interrogativi per la Chiesa cattolica, ed ora per un papa che, indicando le sue intenzioni, si è chiamato Francesco. E sono soprattutto tre preoccupazioni fondamentali dell'ideale francescano che devono essere prese seriamente in considerazione oggi: paupertas (o povertà), humilitas (o umiltà) e simplicitas (o semplicità). Questo spiega probabilmente perché nessun papa precedente abbia osato scegliere il nome di Francesco: le aspettative sembrano troppo alte. Questo fa sorgere un'altra domanda: cosa significa per un papa oggi assumere coraggiosamente il nome di Francesco? Naturalmente, il carattere di Francesco d'Assisi non deve essere idealizzato – poteva essere ostinato ed eccentrico, e avere anche le sue debolezze. Non è lo standard assoluto. Ma le sue prime preoccupazioni cristiane devono essere considerate seriamente, anche se non è necessario che siano applicate alla lettera, ma “tradotte” secondo i tempi moderni da papa e Chiesa. Paupertas, o povertà: la Chiesa nello spirito di Innocenzo III era intesa come una Chiesa di ricchezza, di pompa e buone condizioni finanziarie, di accumulo di beni e scandali finanziari. Al contrario, una Chiesa nello spirito di Francesco significa una Chiesa di politiche finanziarie trasparenti e modesta frugalità. Una Chiesa che si preoccupa soprattutto dei poveri, dei deboli, degli emarginati. Una Chiesa che non accumula ricchezza e capitale, ma al contrario combatte attivamente la povertà e offre ai suoi dipendenti condizioni di lavoro esemplari. Humilitas o umiltà: la Chiesa nello spirito di papa Innocenzo III era intesa come una Chiesa di potere e dominio, di burocrazia e discriminazione, di repressione e Inquisizione. Al contrario, una Chiesa nello spirito di Francesco significa una Chiesa di umanità, di dialogo, di fraternità e sororità, di ospitalità anche per gli anticonformisti; significa servizio senza pretese da parte dei suoi capi, e solidarietà sociale, una comunità che non esclude dalla Chiesa nuove forze religiose e nuove idee, ma al contrario permette loro di fiorire. Simplicitas, o semplicità: la Chiesa nello spirito di papa Innocenzo III era intesa come una Chiesa di immobilità dogmatica, di censura moralistica o limitazioni legali, una Chiesa di leggi canoniche che regolano ogni cosa, una Chiesa di una scolastica onnisciente e di paura. Al contrario, una Chiesa nello spirito di Francesco significa una Chiesa di Buona Notizia e di gioia, una teologia basata unicamente sul Vangelo, una Chiesa che si mette in ascolto della gente invece di indottrinare dall'alto, una Chiesa che non insegna soltanto, ma che costantemente impara di nuovo.
Alla luce delle preoccupazioni e delle proposte di Francesco d'Assisi, possono essere formulate opzioni e politiche fondamentali oggi per la Chiesa cattolica, che ancora brilla almeno nella facciata e nelle grandi occasioni romane, ma le cui strutture interne dimostrano di essere corrotte e fragili nella vita quotidiana delle parrocchie in molti paesi, e questo è il motivo per cui molte persone l'hanno abbandonata, nello spirito, e a volte anche nei fatti. Mentre nessuna persona ragionevole può aspettarsi che tutte le riforme possano essere realizzate da una sola persona da un giorno all'altro, un cambiamento sarebbe attuabile in cinque anni: questo lo mostrò il papa della Lorena Leone IX (1049-1054) che preparò la Riforma Gregoriana, e nel XX secolo dall'italiano Giovanni XXIII (1958-1963) che convocò il Concilio Vaticano II. Ma ora l'indirizzo dovrebbe essere nuovamente chiarito: non una restaurazione verso tempi preconciliari, come è avvenuto durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, ma al contrario dei passi ben considerati, pianificati e chiaramente comunicati, per realizzare una riforma secondo le linee del Concilio Vaticano II.
Ma una riforma della Chiesa non incontrerebbe una seria opposizione? Indubbiamente, papa Francesco risveglierà potenti ostilità, soprattutto in quel centro di potere che è la Curia romana, un'opposizione a cui è difficile resistere. Chi detiene le redini in Vaticano non è disposto ad abbandonare quel potere che è stato accumulato fin dal Medio Evo.
Anche Francesco d'Assisi sperimentò la forza di tali pressioni curiali. Lui, che voleva liberare se stesso da ogni cosa vivendo in povertà, si stringeva sempre più fortemente a “Santa Madre Chiesa”. Invece di scontrarsi con la gerarchia, voleva essere obbediente al papa e alla curia, vivendo nell'imitazione di Gesù: in una vita di povertà, predicando da laico. Lui e i suoi seguaci dovettero perfino accettare la tonsura per poter entrare nello status clericale. Questo di fatto rendeva più facile la predicazione, ma dall'altro lato incoraggiava la clericalizzazione della giovane comunità che ebbe un numero crescente di preti. Così non sorprende che la comunità francescana divenne sempre più integrata al sistema romano. Gli ultimi anni di Francesco furono offuscati dalle tensioni tra gli ideali originali di seguaci di Gesù e l'adattamento della sua comunità al tipo di vita monastica esistente. Il 3 ottobre 1226, a soli 44 anni, Francesco morì, povero come aveva vissuto. Proprio 10 anni prima, papa Innocenzo III moriva inaspettatamente all'età di 56 anni, un anno dopo il Concilio Lateranense IV. Il 16 giugno 1216, il corpo di Innocenzo fu trovato nella cattedrale di Perugia: questo papa che aveva saputo aumentare potere, proprietà e ricchezza della Santa Sede come nessun altro prima di lui fu trovato abbandonato da tutti, completamente nudo, derubato dai suoi stessi servitori. Era come un suono di tromba che segnava la transizione dalla dominazione papale del mondo alla impotenza papale: all'inizio del XIII secolo c'era Innocenzo III regnante in gloria; alla fine del secolo, c'era un Bonifacio VIII (1294-1303) megalomane arrestato dai francesi; e poi il lungo esilio avignonese durato 70 anni, e lo scisma d'Occidente, con due e alla fine tre papi.
Due decenni scarsi dopo la morte di Francesco, il movimento francescano diffuso rapidamente sembrava essere completamente “addomesticato” dalla Chiesa romana, cosicché velocemente divenne un normale ordine al servizio delle politiche papali e perfino uno strumento dell'Inquisizione. Allora, se fu possibile che Francesco d'Assisi ed i suoi seguaci fossero alla fine “addomesticati” dal sistema romano, evidentemente non si può escludere che anche un papa Francesco possa essere intrappolato nel sistema romano che si ritiene egli possa riformare. Papa Francesco: un paradosso? È possibile che un papa e un Francesco, evidentemente opposti, possano mai essere riconciliati? Lo possono solo da un papa dalla mentalità evangelica e dalla volontà riformatrice.
Per concludere, ho una domanda finale: che cosa bisognerà fare se le nostre aspettative di riforma saranno deluse? È passato il tempo in cui il papa e i vescovi potevano contare sull'obbedienza dei fedeli. Un certo misticismo dell'obbedienza fu introdotto anche dalla Riforma Gregoriana dell'XI secolo: obbedire a Dio significa obbedire alla Chiesa, e questo significa obbedire al papa, e viceversa. Fin da allora i cattolici sono stati educati in modo martellante a ritenere che l'obbedienza di tutti i cristiani al papa è una virtù cardinale; ordinare e imporre l'obbedienza – con qualsiasi mezzo – è diventato lo stile romano. Ma l'equazione medioevale “obbedienza a Dio = alla Chiesa = al papa” è in patente contrasto con la parola di Pietro e degli altri apostoli prima del Concilio di Gerusalemme: “bisogna obbedire a Dio piuttosto che a qualsiasi autorità umana”. Di conseguenza non dovremmo cadere in un'accettazione rassegnata. Al contrario, di fronte ad un mancato impulso verso la riforma da parte della gerarchia, dobbiamo passare all'offensiva, facendo pressione per una riforma dal basso. Se papa Francesco affronta le riforme, scoprirà di avere l'ampia approvazione della gente, ben al di là della Chiesa cattolica. Tuttavia, se permette che le cose continuino come sono ora, senza superare il blocco delle riforme che sono ora in elaborazione, come quella della Leadership Conference of Women Religious, allora il grido “Indignatevi!” risuonerà sempre di più nella Chiesa cattolica, provocando riforme dal basso. Queste sarebbero applicate senza l'approvazione della gerarchia e frequentemente nonostante i tentativi di circonvenzione della gerarchia. Nel peggiore dei casi – come ho scritto prima della recente elezione papale – la Chiesa cattolica farà l'esperienza di una nuova Era Glaciale invece di una primavera e correrà il rischio di ridursi ad una setta appena un po' ampia.
Hans Küng - in “The Tablet” dell'11 maggio 2013