Inaugurazione: lunedì 18 aprile dalle 18,00
18 aprile / 5 giugno 2011
da martedì a sabato, dalle 18 alle 20 / 0-24 come vetrina
Per appuntamenti telefonare: +39 3289627 778 | +39 3292298 348 | +39 347 7210222
BASE / Progetti per l’arte presenta la mostra di Hans Schabus dal titolo “Mamma mia” pensata appositamente per l’occasione.
FIRENZE: In questo progetto l’artista propone una riflessone sulla possibilità degli oggetti di uso quotidiano di comunicare la relazione personale che le persone stabiliscono con essi. Questo approccio porta l’artista a mettere in crisi il concetto molto di moda di opera “site specific”, mettendo in evidenza che oggi questo temine non può più riguardare soltanto la relazione formale tra l’opera e lo spazio fisico che la contiene, ma deve comprendere anche il rapporto con il contesto ambientale e sociologico in cui essa si trova ad agire.
L’artista stesso descrive cosÏ il suo contributo per BASE / Progetti per l’arte:
“Si tratta di tre opere autonome che stabiliscono una strana relazione tra di loro.
La prima opera è un lavoro personale.
Si tratta di una mia lettera posta in una cornice. La lettera è un compito che mi ha assegnato la mia insegnante di italiano, poi corretta da lei, in cui cerco di presentarmi e dire chi sono.
La seconda opera è un lavoro scultoreo.
La forma è quella di un piede di un mammuth in vetroresina, tagliato all’altezza della pancia. Questa opera Ë una continuazione dell’installazione “Klub Europa”, lavoro che ho mostrato all’ultima Biennale di Berlino e che evocava un’esigenza di confronto con il passato e il problema della sua spettacolarizzazione.
La terza opera è un lavoro spaziale.
Questo lavoro coinvolge tutta la scatola architettonica di BASE dal momento che consiste in una maniglia applicata ad una parete e che quindi non apre niente.”
Hans Schabus (Watschig, Austria, 1970; vive e lavora a Vienna) “Ë uno scultore nel senso classico della parola. Affronta sempre nuovi progetti, nuovi lavori, la cui realizzazione richiede forza fisica andando sempre fino al limite del possibile. Questo suo approccio corrisponde all’idea classica dell’artista: creare o scolpire stando solo davanti al materiale, che nel caso di Schabus però è lo spazio pubblico. Questo viene analizzato e riformulato, ridimensionato da un punto di vista fisico e psichico, la forza che ne risulta si trasmette istantaneamente al visitatore. L’opera di Schabus, che si propone sempre il compito di superare i limiti del corpo, dello spazio e del tempo, offre sensazioni molto personali, che risultano da un confronto altrettanto personale dell’artista con lo spazio. Un approccio questo che è andato un po’ fuori moda. Mentre oggigiorno l’arte vuole essere azione sociale o occuparsi di tematiche politiche, Hans Schabus crea le sue opere solo per se stesso. La relazione dell’artista con la propria opera è infatti intima nel senso tradizionale della parola. In uno stato di assoluta autonomia si confronta con lo spazio.” Queste parole di Max Hollein, scritte per il catalogo uscito in occasione della sua partecipazione al padiglione austriaco alla Biennale di Venezia del 2005, contestualizzano efficacemente l’approccio e l’apporto dell’artista al panorama internazionale dell’arte contemporanea. L’artista in quell’occasione occultò o inglobò con il suo lavoro il padiglione costruito dall’architetto Viennese Josef Hoffmann che fu inaugurato nel 1935. L’opera di Shabus dal titolo “L’ultima terra” era difficilmente catalogabile solo come opera di architettura, o solo di scultura, o solo come lavoro sullo spazio o di creazione di un nuovo spazio collettivo da praticare. Infatti, se da fuori appariva come una forma geometrica che rimandava alla montagna, al mito della montagna molto caro alla storia austriaca, all’interno era un insieme labirintico di scale che rimandava ai disegni di Piranesi. L’aspetto importante però era il momento in cui le persone animavano il luogo percorrendolo e prendendone possesso. Infatti, per la mostra Eurasia nel 2007 al Museo Mart di Rovereto l’artista ha esposto solo la punta della struttura/montagna tagliata, posta su dei sacchi di cemento, come testimonianza di questa appropriazione da parte del pubblico che veniva testimoniata dalle firme e dalle scritte lasciate dalle persone nel momento i cui uscivano sul tetto per prendere il sole. La riflessione che l’artista compie sul suo ruolo rispetto alla società di cui fa parte Ë attraversata da una forte vena eroica e romantica che sposta la questione sul concetto più ampio del ruolo del soggetto in generale. Questa dimensione è evidente con opere come “Fuga da Babele” del 2002 in cui l’artista scava un cunicolo partendo dal pavimento del suo studio, o con l’opera Wienflub, Wien, 2002 in cui una serie di fotografie documentano il suo viaggio su una piccola barca costruita da lui stesso attraverso i canali sotterranei della città. La sua dimensione legata allo scolpire lo spazio è invece evidente con il già citato lavoro della biennale di Venezia e con la personale al Centro d’arte Barbican Center di Londra del 2008 in cui esponendo una lunga fila dei sedie colorate, come ad aspettare il pubblico per una conferenza, usando come piano di appoggio la parete ha messo in evidenza il particolare spazio del museo fatto a semicerchio.
Tra le molte mostre personali ricordiamo: Die Rocky Horror Hansi Show, Clubblumen, Wien, 2010; Is it the River?, ZERO…, Milan, 2009; Next time I am here, I will be there, Barbican Art Centre, London, 2008; SITE Santa Fe, USA, Innere Sicherheit, Kasseler Kunstverein, Kassel, 2006; The Last Land, Padiglione Austria, Biennale di Venezia, Venice, 2005. Mentre tra le sue partecipazioni a mostre collettive internazionali sono da citare: 6th Berlin Biennale for Contemporary Art, Berlin, 2010; Contemplating the Void, Guggenheim Museum, New York, 2010; Fifty Fifty. Kunst im Dialog mit den 50er Jahren, Wien Museum, Wien, 2009; Fabricateurs d’espaces, Institut d’art contemporain, Lyon, 2008; Revolutions – Forms at Turn, 16th Biennale of Sidney, 2008; Liverpool Biennial, Liverpool, 2006; The Pantagruel Syndrome, T1 – Turin Triennal Threemuseums, Torino, 2005; Manifesta 4, European Biennial of Contemporary Art, Frankfurt, 2003.
BASE / Progetti per l’arte è un’idea di artisti per altri artisti. BASE è un luogo unico per la pratica dell’arte in Italia, la cui attività iniziata nel 1998, viene curata da un collettivo di artisti che vivono e operano in Toscana e che si fanno promotori di presentare a Firenze alcuni aspetti, tra i più interessanti dell’arte del duemila. BASE è un dialogo sulla contemporaneità aperto ad un confronto internazionale. Attualmente fanno parte del collettivo di BASE / Progetti per l’arte: Mario Airò, Marco Bagnoli, Massimo Bartolini, Paolo Masi, Massimo Nannucci, Maurizio Nannucci, Paolo Parisi, Remo Salvadori. Fino adesso si sono tenute a BASE mostre di Sol Lewitt, Marco Bagnoli, Alfredo Pirri, Cesare Pietroiusti, Jan Vercruysse, Niele Toroni, Michael Galasso, Luca Pancrazzi, John Nixon & Marco Fusinato, Heimo Zobernig, Ingo Springenschmid, Paolo Masi & Pier Luigi Tazzi, Antonio Muntadas, Robert Barry, Luca Vitone, Gino De Dominicis, Liliana Moro, Claude Closky, Remo Salvadori, Pietro Sanguineti, Liam Gillick, Massimo Bartolini, Mario Airò, Eva Marisaldi, Rainer Ganahl, François Morellet, Bernhard Rüdiger, Nedko Solakov e Slava Nakovska, Olaf Nicolai, Giuliano Scabia, Kinkaleri, Steve Piccolo & Gak Sato, Rirkrit Tiravanija, Matt Mullican, Michel Verjux, Elisabetta Benassi, Pedro Cabrita Reis, Pietro Riparbelli, Simone Berti, Jeppe Hein, Gerwald Rockenschaub, Jonathan Monk, Peter Kogler, Carsten Nicolai, Surasi Kusulwong, Franz West, Tino Sehgal, Nico Dockx, Grazia Toderi, Armin Linke, Davide Bertocchi, Pierre Bismuth, Olivier Mosset, Stefano Arienti, Erwin Wurm, Thomas Bayrle, Christian Frosi e Diego Perrone che hanno presentato progetti inediti pensati per lo spazio di BASE.
L’attività di BASE è promossa e sostenuta dagli artisti fondatori dall’Associazione BASExBASE
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