Veep non è una maniera diversa di scrivere VIP. Veep è il diminutivo di Vicepresidente, in questo caso di Vicepresidente degli Stati Uniti. Urca, una carica importante, penserete voi. E in teoria è così. Nella realtà dei fatti, o almeno nella realtà telefilmica, sembra non esserci nessuno al mondo meno importante di Selina Meyer. La vicepresidentessa degli USA interpretata da una spumeggiante Julia Louis-Dreyfus, veterana della tv americana già di turno in Seinfield e La complicata vita di Christine, è infatti quanto di più lontano ci possa essere dall’essere una figura di rilievo all’interno del panorama politico americano. Nessuno la caga, per dirlo terra terra. Il leit-motiv, la battuta tormentone della , non a caso è la domanda che la Veep rivolge alla sua segretaria: “Il Presidente ha telefonato?” “No,” è la risposta fissa della sua segretaria, che non ha nemmeno bisogno di pensarci un attimo. Nel corso di tutta la prima stagione, il Presidente non l’hai mai presa in considerazione. Le uniche volte in cui la presidenza degli USA si ricorda chi sia, è quando lei fa qualcuna delle sue figuracce. E ne fa parecchie.
"A Cannibal non era piaciuta la prima puntata? Quanto ero preoccupata!
Per fortuna poi si è ricreduto!"
La messa è finita, andate in pace? Non così in fretta. Finito questo lungo sermone sull’importanza di non giudicare un libro dalla sua copertina, o in questo caso specifico una serie dalla sua puntata pilota, torniamo a elencare quelli che sono gli elementi di pregio della serie Veep. Oltre a una protagonista stellare e già mitica, gli assistenti che la circondano non sono da meno. Sia per goffaggine che per incompetenza. I migliori, i numeri 1 lavorano alla Casa Bianca, per il Presidente. La serie B invece lavora per Selina Meyer. I suoi schiavi personali, oltre a operare nei suoi confronti una costante opera di lecchinaggio, le sono comunque essenziali, vitali oserei affermare, visto che le suggeriscono in ogni momento cosa fare, cosa dire e come dirlo. La Veep, senza di loro, non riuscirebbe a combinare davvero nulla. Tra di loro, segnalo nel cast la presenza di Anna Chlumsky. Chi? Il suo nome non vi dirà niente, probabilmente. Eppure guardatela bene.
"Ti prego, Dio Cannibal, non parlare male di me."
Riconosciuta? No? E allora ve lo dico io: sono passati ormai più di 20 anni, però è proprio la bimbetta di Papà, ho trovato un amico, il film strappalacrime in cui recitava a fianco dell’altra baby star Macaulay Culkin.
"Chi ha detto che vesto peggio della Carfagna? Lo licenzio subito!"
Nonostante l’aiuto dei suoi paggetti, la Selina Meyer resta comunque una campionessa di superficialità e menefreghismo, nonché un’esperta in figure di M, e nel corso degli episodi la vediamo sprofondare sempre di più nella derisione pubblica. Ma il mondo della politica è bello (perché, è bello?) poiché tutto può cambiare in ogni istante e si può passare dall’essere l’ultima ruota del carro, in questo caso degli Stati Uniti, all’essere incredibilmente popolari e osannati dalla gente. Selina Meyer si barcamena come meglio può tra questi due estremi e la cosa più impressionante di questa serie, quella più tragicamente divertente, è che da un ritratto all’apparenza grottesco e ridicolo, perlomeno se paragonato ad altri sguardi più seri sull’ambiente come quelli di Boss, The Killing, 24 o del nuovo Blackout, ne emerga invece un ritratto tra i più realistici immaginabili del mondo politico americano e internazionale odierno. Guardiamo ad esempio all’Italia: Santanché, Minetti, Gelmini, Carfagna… al loro confronto e limitandoci all’ambito delle donne, Selina Meyer fa ancora la figura della grande professionista. Ad avercene, di politiche come lei. Ehm, si fa per dire… (voto 7+/10)