Fatte evadere queste epifanie che mi appartengono, vale davvero la pena parlare bene di Harpya (1979) perché aldilà delle interpretazioni possibili, il cortometraggio riesce a raggiungere il suo scopo con appena 8 minuti a disposizione, in una parola: inquieta. Oltre la rilettura moderna del mito greco e oltre la propria polisemia, è opportuno notare come Servais si orienti nel mondo del perturbante in modo convincente senza l’utilizzo di particolari accorgimenti innovativi. Infatti, a parte la trovata del cibo agognato e ingerito solo mentalmente, il film utilizza i classici “appostamenti” di genere da parte della bestia ai danni del protagonista. I balzi sulla sedia sono ridotti in scala alla costituzione dell’opera, eppure il mood globale, giusto per ripetere l’antifona, inquieta non poco e molto probabilmente la silhouette dell’Arpia, una volta vista, è destinata a sedimentarsi per sempre nell’immaginario personale. ________
[1] E in fatto di assonanze estetiche possiamo infilarci anche il testone lunare di Kinski in Nosferatu (1979).